Sei annate del Taurasi “Poliphemo” di Luigi Tecce, talentuoso vigneron di Paternopoli.
La “linea dell’eleganza” secondo Luigi Tecce è una retta che, nel mondo del vino, passa solo per alcuni terroir: la Borgogna dei grandi pinot noir, il Piemonte (leggi non-solo-Langhe) dei nebbiolo, la Toscana dei migliori sangiovese (più Chianti Classico che non Montalcino), la Campania con i suoi Taurasi (e aglianico di alta collina) e l’Etna con i nerello mascalese allevati lungo le sue pendici.
La strada che porta a Paternopoli, invece, è tutto fuorché dritta e per arrivare nella cantina di Luigi non ci sono indicazioni né è molto di aiuto il navigatore. Il meglio che possa capitarvi, perciò, una volta oltrepassato il paese e indovinata la strada per Castelfranci, è imbattervi in qualche paesano di buon cuore, che preso a compassione, si offra di accompagnarvici.
Contrada Trinità si chiama così per la chiesetta che oggi non c’è più, ma la cosa curiosa è che lì si incrociano i territori di 3 comuni della DOCG Taurasi: Montemarano, paese natìo del papà di Luigi, è ad appena 5 metri dalla cantina, dall’altra parte della strada provinciale; 10 metri più in là c’è Castelfranci.
Nella cantina di Luigi Tecce ci siamo ritrovati venerdì scorso, con il gruppo Slow Wine Campania, per la verticale del Taurasi Poliphemo (dal 2006 all’anteprima 2012). Un’ottima occasione per ascoltare uno dei protagonisti della denominazione, mai banale e sempre diretto, parlare a ruota libera del mondo-vino e anche dei suoi progetti: la prossima uscita, a ben 10 anni dalla vendemmia, delle 100 magnum di Poliphemo 2006 e, ancora, un nuovo Taurasi (il nome è top secret).
Nel mentre, s’è bevuto il Satyricon 2013, salato e vibrante (se tanto mi da’ tanto, cosa sarà il Poliphemo pari annata?) e s’è mangiato pure qualcosa del tanto di buono che offre questo generoso territorio: un caciocavallo podolico davvero pregevole, il broccolo aprilatico e i mugliatielli, questi ultimi cucinati proprio da Luigi (lui dice per la prima volta, ma io non ci credo).
La verticale
Ma passiamo ai calici, tutti con la loro personalità, tonici e con spiccata vocazione gastronomica, anche quelli dei millesimi più difficili (curiosamente quelli dispari e il 2006). Tra parentesi, qualche nota sull’andamento stagionale e/o sulla vinificazione.
2012 (è un’anteprima, sarà sullo scaffale soltanto a dicembre prossimo): il sorso richiama con molta puntualità i profumi di fiori e piccoli frutti rossi, è fresco ed elegante. Da registrare il tannino, ma so’ ragazzi (cit.).
2011 (l’annata è stata caratterizzata da un’estate particolarmente siccitosa): ad ascoltarlo con pazienza, dopo un po’ di diffidenza iniziale, si percepiscono note di torrefazione e sottobosco, cioccolato e tabacco. L’idea di maggiore austerità si rivela, poi, al palato, che ha ritmo e non meno fascino.
2010 (molto più simile alla 2012 che non alla 2011, a differenza di quest’ultima annata sono state abbondanti le precipitazioni. Macerazione di 60 giorni): dopo una lieve pungenza all’esordio, il naso viene fuori bene e i profumi acquisiscono maggiore complessità, con chiari rimandi balsamici. Al palato vira su toni agrumati, è succoso ed ha ottima persistenza, con una trama tannica di pregevole fattura.
2009 (annata difficile, specialmente per via dei frequenti temporali estivi, ma non come la disastrosa 2014, ci tiene a precisare Luigi. Solo botte grande per 24 mesi): è un vino tumultuoso e tendenzialmente più ruvido. Ci sono più spezie, più pepe. Conosce più durezze che morbidezze, ma alla fine è terribilmente seducente.
2008 (annata perfetta in vigna, con forti escursioni termiche. Come passare dai 27 gradi di giorno ai 2 sotto zero di notte. Niente rovere nuovo): l’approccio -condivido l’osservazione di Claudio- sembra essere più “internazionale”, nel senso buono del termine. Bocca succosa, goduriosa, elegante, di grande persistenza, che offre spunti erbacei e balsamici. Mi piace pensare che possa essere il vino da far bere a chi abbia voglia conoscere il Taurasi.
2007: in un curioso alternarsi di annate più o meno complicate, questo calice sembra avere qualcosa in meno in bocca, almeno sulle prime. Al naso, emergono note bellissime di cipria e alloro, qualche lieve accenno ematico. Cangiante, nel bicchiere, trova un suo equilibrio dopo un po’ di paziente ossigenazione.
2006 (millesimo molto piovoso, con la peronospora sempre dietro l’angolo. Oltre ad un rallentamento dell’invaiatura Luigi lo ricorda per una “cimatura” straordinaria a fine agosto. Autunno caldissimo e vendemmia al 26 novembre): il primo impatto racconta odori lontani, incenso e spezie dolci. Per essere figlio di un’annata “minore”, è un’interpretazione riuscita, non c’è che dire. Al palato sa di caffè, radice e frutta scura. Si concede poco a poco, ma con generosità.