E dire che non aveva cominciato poi tanto male, Ciripizza.
Quando ne lessi qui, sulla pagina milanese del Corriere, pensai che un salto si poteva fare. Dopotutto, era a due passi da casa e ci potevo andare anche a piedi, evitando così ogni noia per il parcheggio (ché trovarlo tra via Canonica, via Paolo Sarpi e strade limitrofe è roba assai complicata).
Mi ci fiondai alla prima occasione utile. Il risultato fu di moderata e speranzosa soddisfazione. Ci tornerò, dissi. E così ho fatto una, due volte. L’ultima, qualche giorno fa.
Ambiente molto informale: arredamento moderno e essenziale, bello il forno a legna tappezzato di piastrelle colorate che ti si apre davanti non appena varchi l’ingresso. Menù a tutta pizza con l’invito a “non chiedere modifiche alle pizze”. Una carta dei vini con poche etichette ma ben assortita che alterna proposte più scontate a qualche scommessa, restando in Campania e con prezzi assolutamente ragionevoli. L’ha curata Luciano Pignataro: per l’amico Cosimo, c’è scritto (ma io Cosimo non so chi sia).
Pizza tradizionale campana artigianale, dice il biglietto che accompagna il conto. Pizzeria che si dichiara impegnata a difendere il metodo originale campano sulla base dell’assunto «tutti noi operatori, produttori, consumatori, abbiamo il dovere di difendere i prodotti tipici italiani, nel rispetto delle origini».
C’è qualcosa che non va, però. Pizza piatta e sottile, priva – per di più – dell’indispensabile cornicione.
Giudicate voi. Io dico solo, peccato.
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