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Rottensteiner, vini dalla pietra rossa

Quelli di Rottensteiner erano vini che non conoscevo: li ho provati a Napoli, durante una cena all’Ebbrezza di Teonilla insieme con la produttrice.

L’intimo legame con la vite è racchiuso nel nome stesso di famiglia, che significa “pietra rossa”: un riferimento al porfido di questi luoghi, che conferisce un’inconfondibile mineralità ai vini che vi si producono.

I primi documenti ufficiali risalgono al 1527, ma fu solo – si fa per dire – nel 1956 che Hans Rottensteiner, nonno degli attuali proprietari, fondò l’azienda e prese a vendere vino sfuso in Svizzera. Hans aveva un sogno molto più grande dei 3 ettari di vigna nella sua iniziale disponibilità: così stipulò accordi con alcuni contadini nei dintorni e nelle zone vinicole più importanti dell’Alto Adige (il cuneo verde di Gries per il lagrein, oppure Appiano per il sauvignon e il pinot nero) per l’acquisto delle loro uve.

L’ingresso in azienda del figlio Toni negli anni Ottanta, poi quello del nipote Hannes nel 2001 hanno garantito continuità e futuro all’azienda, che oggi ha una rete di 45 conferitori. «Li conosciamo tutti personalmente – ha detto Judith, responsabile marketing e vendite, moglie di Hannes –. I figli sono subentrati nei rapporti che già avevamo con i genitori, posso dire che siamo un punto di riferimento per tante realtà vinicole a conduzione familiare». Ecco spiegati, dunque, i numeri importanti dell’azienda, che produce oggi circa 450 mila bottiglie all’anno, per 24 diverse etichette.

Tenuta Rottensteiner: i vini

Se l’Alto Adige è oggi distretto assai ben reputato per i vini bianchi* , nella zona del capoluogo altoatesino prevalgono storicamente i rossi: dopotutto, situata in una conca nelle Alpi Orientali, Bolzano ha un clima molto diverso dal resto della regione. Il trend rossista, per la cronaca, è stato valorizzato anche dalla scelta dei vini per la cena di presentazione.

Tra i 2 bianchi in degustazione, preferenza per l’Alto Adige Pinot Bianco Carnol 2023 – ottenuto dalle uve del vigneto Tollhof –, che è concessivo, generoso e spiccatamente minerale. Un po’ più in debito d’ossigeno, invece, l’Alto Adige Gewürztraminer Cancenai 2023 – da una vigna su suolo calcareo –, che è speziato e sa di caffè, pur se l’annata è, almeno sulla carta, meno opulenta del solito.

Molto interessante il raffronto tra le due etichette di Schiava. L’Alto Adige Schiava Vigna Kristplonerhof 2023 è forse un po’ monocorde, ma pure, in definitiva, più semplice e longilineo rispetto all’Alto Adige Santa Maddalena Classico Vigna Premstallerhof 2023, che ha un saldo del 7% di lagrein e, corrispondentemente, un sorso di maggiore pienezza. Vini diversi ottenuti dai grappoli di due vigne poste pressoché alla stessa altitudine, anche se quella del Maso Premstallerhof – condotta in regime di agricoltura biodinamica dalla famiglia svizzera Vogel – è allevata a pergola, beneficia di un’ora di irradiazione solare in più al giorno e ha un suolo con una non trascurabile componente sabbiosa.

Bene l’Alto Adige Lagrein Gries Riserva Select 2021, a conti fatti l’etichetta forse più rappresentativa di casa, le cui uve provengono da una delle zone di elezione per la varietà, la cosiddetta “conca verde”. Fermenta in cemento e affina un anno in barrique (nuove per il 15%) e un altro anno in botti grandi, ha sorso speziato e carnoso. E bene pure l’Alto Adige Cabernet Riserva 2019mix dei due cabernet, come era d’uso un tempo –, che sorprende a tavola per la spiccata propensione all’abbinamento.

Eppure la risposta alla fatidica domanda – che porteresti a casa stasera? – mi vede optare per l’Alto Adige Pinot Nero Riserva Select 2021, da un unico vigneto nella frazione Missiano di Appiano, a 500 metri di quota e su suolo sabbioso-calcareo. La 2021 è la prima annata in cui l’affinamento è avvenuto soltanto in tonneau (per 24 mesi): fine il ricamo floreale, il sorso è saporito, una gradevole balsamicità impreziosisce il quadro.

* che rappresentano i 2/3 della produzione complessiva.

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