Ecco qui un insolito uvaggio di pecorino, passerina, trebbiano e malvasia che arriva dalle Marche. O meglio, dall’entroterra marchigiano. Terra di quelli che furono i PicenINvisibili, fino a qualche anno fa protagonisti di una bellissima manifestazione che portava a Milano tutto il meglio (o quasi) della produzione eno-gastronomica marchigiana. I maccheroncini di Campofilone, per esempio.
Quando l’ho visto in carta e ho letto – di fianco – il nome di Maria Pia Castelli (azienda di cui avevo apprezzato i vini proprio a quell’evento), non c’ho pensato su due volte. A cena da Chic n’Quick (in pratica la “succursale” di Sadler), ho guardato risoluto il sommelier e gli ho sparato quel popo’ di ordinazione, con l’aria tutta soddisfatta di uno che sa di andare a colpo sicuro. Ad Alessia piacciono i bianchi che si travestono da rossi, parole sue.
Costo? 28 euri per una boccia targata 2003: dico sì, questo non me lo faccio scappare. Anche se il rischio c’è stato: colpa del sommelier, tutto preso nel suo goffo tentativo di tirare il collo (cit) a quella bottiglia, sventuratamente risoltosi nella rottura del tappo (alla quale ha poi rimediato – gliene va dato atto – con grande abilità, riuscendo nell’impresa di estrarre il secondo pezzo senza che nessuna particella di sughero inquinasse il vino in bottiglia).
Un vino sui generis, se vogliamo. Motivo per cui un cliente, passato di lì qualche tavolo prima, pur avendolo scelto con la stessa mia decisione, lo aveva ben presto liquidato per un presunto difetto. Inesistente, parole del sommelier.
Dicevo, un vino particolare. Per l’approccio e per il risultato nel calice, colorato di un oro antico che scopri poi essere questione di macerazione delle uve e di un basso dosaggio di solforosa oltre che di fermentazione e maturazione in legno.
Fatto è che a distanza di 8 anni dalla vendemmia il vino in questione è in splendida forma. Ricco, sinuoso ed elegante al naso dove – a parte quelle sensazioni di arancia amara e di albicocca disidratata – vengono fuori le spezie dolci e, ancora, profumi di frutta stramatura (che il sommelier – ancora lui – dice essere dovuti alla raccolta tardiva delle uve). Insomma, opulento al naso e pure in bocca. Qui, però, da’ il meglio: bellissima aromaticità, con la freschezza che conferisce al tutto equilibrio e, al tempo stesso, bevibilità. Chiude lungo ed espressivo, con lo stesso trasporto di Giovanni Allevi quando mette mano al piano.
Musica per le mie orecchie, ecco. E per il palato.
Il metodo champenoise ha origini marchigiane?
Desidero divulgare questa notizia curiosa sul metodo champenoise che ho riportato nel mio blog.
Grazie dell’attenzione.
http://www.infoturismo.marche.it/blog/index.php