C’era (o c’è ancora, non so) quel concorso dal nome inequivocabile, “Giallo Milano“, dedicato al piatto meneghino per eccellenza.
Mica così semplice, però, mangiarne uno come si deve e quel «si darà il caso che un giorno non riusciremo più a trovare in tutta Milano nemmeno un semplice risotto giallo alla milanese! Sarebbe davvero il colmo!»* suona oggi quasi come una profezia, ché sotto la madunina si fa forse meno fatica a trovare tapas–sushi-pizza, che non un ris giald con i fiocchi. O sbaglio?
Esiste una ricetta originale codificata, approvata e depositata al Comune di Milano, che ha concesso la Denominazione Comunale (De.Co.); tuttavia c’è chi usa questo o quel pezzo di carne per il brodo (no vegetale, eh!), questo o quel formaggio per la mantecatura e via dicendo. Ci sono poi le “contaminazioni territoriali”, come quelle che ho sfruttato io per andare a reperire ingredienti a meno di un chilometro: il biancostato e il muscolo della spalla erano di marchigiana, ça va sans dire; la gallina era super paesana; lo zafferano arrivava, invece, dalla confidenziale produzione della zia di mia moglie.
Massimo Zanichelli, che ha mantenuto la promessa e si è messo ai fornelli per una bella tavolata in una ventosa domenica di fine agosto, se l’è cavata egregiamente: ho visto fare il bis un po’ a tutti, anche con la scusa di verificare l’eretta postura della posata dopo il “rinforzo” di parmigiano reggiano approvato dalla tradizione.
Resta la domanda clou, che si beve sul risotto?
Anche se da queste parti non si sta a puntualizzare più di tanto sugli abbinamenti possibili (e impossibili), ho ripensato al suggerimento di Massimo, che ha giurato sul perfetto pairing con un bianco aromatico o giù di lì, tipo un Sauvignon o una Malvasia. Al riguardo, la pista laziale -azzarderei- mi sembra più che percorribile e il Frascati 496 di De Sanctis, azienda che ho visitato proprio qualche mese fa, potrebbe fare effettivamente al caso, per di più essendo vino clamorosamente conveniente sia per il palato che per il portafogli.
Resta la domanda, dicevo. Nel mentre ci pensavo mi sono precipitato in cantina, ma del vino d’entrata di Francesco De Sanctis nemmeno più i vuoti. Toccherà ingegnarsi presto. 😉
* così diceva – erano gli anni ’30 – Antonio Calzoni nel suo libro “32 pagine d’un buongustaio milanese”.