Mi ha molto incuriosito leggere, alcuni giorni fa, di studi condotti sull’aglianico a Montalcino da due giovani ricercatori dell’Università di Firenze, Damiano Barbato e Fabio Schiavetti.
Il loro lavoro, dal titolo “Valutazione delle caratteristiche delle uve e dei vini da varietà originarie del centro-sud e sud Italia coltivate in un areale di elezione per la produzione del Sangiovese nell’annata 2018“, è risultato, tra l’altro, uno dei due vincitori del Premio Internazionale Soldera Case Basse (la foto è di Food Micro Team).
Le motivazioni alla base dello studio, conclusosi con la vinificazione delle uve aglianico prodotte (vendemmiate il 1° ottobre) e le analisi dei vini ottenuti, sono riconducibili ai cambiamenti climatici in atto: “con l’aumento delle temperature è ipotizzabile in futuro lo spostamento verso nord della coltivazione di alcune varietà al fine di trovare nuovi areali capaci di offrire il fabbisogno climatico ottimale tali da poter soddisfare il raggiungimento delle migliori espressioni qualitative per quelle stesse cultivar“.
Vero è, come precisano i due ricercatori, che questa non è che la “prima parte di uno studio necessariamente da inserire in un contesto pluriennale che dunque richiede ulteriori approfondimenti in annate differenti al fine comprendere la capacità di adattamento di queste varietà nell’areale di Montalcino“. Fatto è che nella difficile vendemmia 2018, l’aglianico, in particolare, “ha presentato una corretta maturazione in cui la quantità di antociani raggiungeva un valore ottimale in corrispondenza di una concentrazione zuccherina adeguata all’interno degli acini. I vini presentavano una quantità elevata di malvidina-3-glucoside, antociani liberi e flavan-3-oli. Questi monomeri, provengono principalmente dai vinaccioli“.
Sapremo qualcosa in più dopo la pubblicazione del lavoro, vi terrò aggiornati.