C’è più di qualche motivo per cui varrà la pena seguire nei prossimi anni l’azienda dei fratelli Sibaldo e Gerardo Molettieri (che porta il nome del papà Antonio).
Su tutti, il basso profilo e la completa dedizione alla viticoltura della famiglia Molettieri in quella contrada Baiano (alta) che è ormai unanimemente riconosciuta quale zona di straordinaria vocazione per l’aglianico a Castelfranci.
Il lavoro in vigna è minuzioso e si avvantaggia di un “saper fare” di un bel po’ di anni; ma i Molettieri non lasciano nulla al caso nemmeno in cantina, dove sono pronti a gettare il cuore oltre l’ostacolo anche quando sarebbe di aiuto la tecnologia. Un modo di lavorare su cui si è soffermato compiaciuto, durante la presentazione dei vini il 6 dicembre, lo stesso enologo consulente, il giovane Sabino Colucci, formatosi nel triangolo Avellino-Francia-Castelfranci.
I vini di Antonio Molettieri
Sono “vini di tradizione”, quelli della Cantina Antonio Molettieri, che non hanno paura di mostrarsi per quello che sono, anche in un periodo storico in cui le vendite di certi grandi rossi sono ferme al palo e i gusti si sono spostati verso vini di minore peso e volume. L’obiettivo enologico è, perciò, quello di scongiurare ogni pericolo di goffaggine in presenza di estratti e gradazioni alcoliche importanti.
L’unico bianco è l’Irpinia Coda di Volpe Sama 2023, una prima ma incoraggiante prova di vinificazione di una varietà che nell’alta valle del Calore si esprime con attitudini sensibilmente diverse rispetto a quelle per cui è per lo più nota. Viene così superata di slancio la criticità relativa a valori di acidità generalmente medio-bassi, senza però abdicare a maturazioni approssimative e/o eccessivamente anticipate. Nel caso specifico, anzi, la pienezza gustativa è figlia di una raccolta calibrata, e il processo in cantina è funzionale a garantire densità e avvolgenza al sorso.
Il territorio comanda pure nel caso dell’inusuale rosso d’entrata, “atipico” di nome e di fatto. Il Merlot Atipico 2022 è un’interpretazione del vitigno che assume connotati in tutto e per tutto peculiari: un Merlot tipicamente irpino, direi, per il quale va annotata la scelta della vinificazione in solo acciaio (che centra, per inciso, l’obiettivo di preservarne il dinamismo).
L’Irpinia Campi Taurasini Badius 2022 unisce un buon succo a una certa possenza, e bene introduce il discorso sul tema aglianico. Il Taurasi D’Oreste 2020, al debutto ufficiale, è oggi decisamente più a fuoco rispetto all’assaggio in anteprima del marzo scorso. Ne risulta confermato un orientamento stilistico che non vuole rinnegare ciò che è (stato?) il Taurasi di queste alte Terre d’Irpinia. Se la gestione del legno (nuovo, per forza di cose) e della maturazione farebbero pensare a un vino particolarmente ricco e manchevole di scorrevolezza, è la bocca a smentire il sospetto di anacronismo, disvelando un rosso di buon intreccio acido-sapido e allungo finale. Il tempo potrà regalargli ulteriore equilibrio.