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I Franciacorta di Mosnel: eleganza, complessità, longevità

Quella organizzata con la Banca del Vino, che ha visto protagonista l’azienda Mosnel con i suoi Franciacorta, è stata una serata di tante prime volte.

La prima di un’azienda lombarda in Campania, la prima di un’azienda impegnata nella produzione di metodo classico: tutto questo è stato l’incontro con Mosnel e i suoi Franciacorta, organizzato nell’ambito del calendario di eventi della Banca del Vino presso il MAVV di Portici.

Ho davvero apprezzato il racconto di Giulio Barzanò, oggi al timone dell’azienda insieme con la sorella Lucia, incentrato – senza alcuna retorica – più sulla Franzacurta* che non sulla lunga storia della maison di Passirano. Un racconto corale, insomma, ma fatto da una sola voce, che pure avrebbe potuto fermarsi a rivendicare – tanto per dirne una – l’iscrizione del primo vigneto alla denominazione (1968).

Il Franciacorta Rosé Pas Dosé Parosé

Nei bicchieri 5 annate del Franciacorta Rosé Extra Brut Parosé (dalla 2012 alla 2016, ultima annata in commercio), in una verticale che ha restituito vini assai diversi tra loro, benché lo stile della maison e, in particolare, l’uso del legno contribuisca a che siano licenziati Franciacorta di grande riconoscibilità. Il fatto che pure a volte sia mancato il guizzo, in un quadro generale di severa compostezza, merita però di essere contestualizzato proprio in relazione alla “giovane” età dei vini degustati, in rapporto sia alle necessità stilistiche, sia alle numerose prove di longevità (come la storica verticale di Franciacorta che ho raccontato proprio su queste pagine).

Anche se il tenue color cipolla sembrerebbe suggerire una lettura sensibilmente diversa, nel senso di un non rosé, la felice intuizione del nome – crasi di Pas Dosé e Rosé – suggella la scelta pionieristica di produrre, a partire dal 2001, un Franciacorta Rosé rosato non dosato, utilizzando soltanto il mosto fiore della vinificazione in piccole botti di rovere delle uve di pinot nero (circa il 70%, con una breve macerazione pellicolare) e chardonnay provenienti dai migliori vigneti nella disponibilità dell’azienda (poco più di 40 ettari intorno alla cantina).

La verticale

Il 2016 è finissimo, ha spinta e allungo. Il preferito per molti, non il mio, e non per oggi almeno. Rosee – è proprio il caso di dire – le previsioni per il futuro.

Il 2015 è già più ostico e, per certi versi, nervoso. Il sorso è decisamente più strutturato e forse anche meno aggraziato.

In cima alle mie personali preferenze ecco il 2014 (degorgiato a novembre 2018): l’annata difficile, con piogge copiose e bruschi abbassamenti di temperatura durante tutta l’estate, svela un vino di tenace sapidità, ma anche di grande finezza. La silhouette diversa rispetto al 2015 – in sintesi: minore struttura, maggiore verticalità – ne fa un metodo classico assolutamente nelle mie corde.

Il 2013 (degorgiato a marzo 2018) sembra quasi più vicino idealmente al 2015 per quella sensazione di maggiore rotondità del sorso: chissà che, in una stagione particolarmente piovosa, sia stato decisivo proprio l’uso del legno in vinificazione. Naso cremoso e boisè, i lineamenti sono di grande maturità.

La sapidità è il tratto distintivo anche della 2012 (sboccatura giugno 2017), che sa di liquirizia e regala sensazioni di fine eleganza e complessità.

Il Franciacorta Extra Brut EBB 2010

Il calice finale è per il Franciacorta Extra Brut EBB 2010 (sboccatura gennaio 2015), etichetta dedicata alla fondatrice Emanuela Barzanò Barboglio, scomparsa nel 2007. La dicotomia naso-bocca si traduce in un sorso appena meno polputo e più sottile rispetto all’opulenza delle premesse olfattive.

* è il nome che nel 1277 si leggeva negli Statuti del Comune di Brescia, volendo identificare le cosiddette “corti franche”, borghi medievali che si trovavano sotto la protezione dei Benedettini e avevano ottenuto l’esenzione fiscale (franchae curtes) per i lavori di bonifica.

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