A non averne conosciuto la provenienza, avrei forse pensato a un rosso borgognone (con le dovute proporzioni, certainement); e ciò anche se ho sempre odiato i paragoni e le frasi del tipo l’aglianico è il Barolo del Sud o cose del genere. Probabilmente per quel suo essere scostumato (cit.) al naso che gli dona ulteriore fascino e imprevedibilità.
Un’eleganza che, però, non diventa mai piatta compostezza; ché, anzi, il vino – parlo della trama olfattiva e gustativa insieme – ha una certa dinamicità. Profuma di frutta rossa scura, sa di funghi e di terriccio, ha tratti di selvatico e animale. Di tartufo, ecco. Non fosse per quella leggera riduzione al naso, che pur scompare pian pianino con il rimanere nel calice, sarebbe ancor più interessante.
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Terra di Rivolta 2007, la riserva di aglianico del taburno di Fattoria La Rivolta |
Il problema è che gli andrebbe dato il tempo di aprirsi. Nel calice, dico. Il che è cosa sinceramente molto difficile perché il sorso secco è di quelli che incitano alla beva, riuscendo nell’impresa di unire la vigoria all’agilità, in un quadro generale di ottima coerenza gusto-olfattiva. Non perde mai piacevolezza, con il tannino – acceso, sì – ben imbrigliato da sapidità e acidità, quest’ultime a dare ulteriore snellezza al palato.
Non dimostra affatto i 14 gradi e mezzo d’alcol, pur essendo un vino non altrimenti definibile se non come robusto; soprattutto nel finale che è ricco e appagante, giocato sui toni della frutta scura e del sottobosco, con un sottile velo di balsamicità. Un anno e mezzo di affinamento in barriques nuove e più o meno lo stesso tempo in bottiglia, prima della commercializzazione. Appena settemila bottiglie.
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