Arrivo ad Agazzano quando ormai è mezzogiorno, un po’ in ritardo, tutta colpa delle deviazioni in uscita dal casello di Piacenza Nord per i lavori del ponte sul Po’ che rimbambiscono il mio “tom tom”.
Al banco d’ingresso mi attaccano al polso un braccialetto, ‘tac’, prendo un calice e mi tuffo nel cortile interno. Meglio cominciare. Un buon numero di eno-appassionati affolla già i banchetti dei produttori disposti nelle sale del Castello su due livelli. Do’ un’occhiata alla lista di “quelli da non perdere” che ho messo giù con i suggerimenti degli amici-reduci dalla manifestazione (quest’anno spalmata su tre giorni invece che due). Inutile dirvi che sono partito con una lista “lunga così”… Entro e mi sento come un bambino al Luna Park. Quando riparto alla volta di Milano, prestino (purtroppo), pure.
Rivedo con piacere Alfonso Arpino e sua moglie Anna. Giusto il tempo di bere il Monte di Grazia Bianco 2008 da uve bianca tenera, ginestra e pepella (che trovo in gran forma a qualche mese dall’ultimo assaggio) e approdo da Emidio Pepe. «Noi le uve – spiega Daniela – le pigiamo ancora con i piedi, proprio come una volta. È durante la fermentazione alcolica (che avviene senza utilizzo di lieviti) che aggiungiamo piccole quantità di solfiti. Prima della commercializzazione il vino matura un anno in vasche di cemento vetrificate e poi un anno in bottiglia». Il Trebbiano 2007 (€ 15 – 15000 bottiglie) ha un che di austero nella sua eleganza, è sornione e va aspettato; non è, però, minerale e persistente come il Trebbiano 2006 (€ 25) che ha un’impronta più briosa sia al naso che in bocca e che appare più predisposto all’invecchiamento. Peccato solo aver mancato la verticale di montepulciano…
Di fianco Santa Caterina: buono sia il Vermentino 2008 (€ 7 – 16000 bottiglie) sia il più minerale Poggi Alti 2007 (€ 8 – 4000 bottiglie) che pur conservando il nome del vigneto è oggi una selezione di uve vermentino vinificate con macerazione per circa 16 giorni e affinamento in vetro più prolungato. Sorprende il Giuncàro 2004 (prezzo non comunicato – 7000 bottiglie), non tanto per l’uvaggio di tocai, sauvignon e vermentino (“solo apparentemente insolito” per dirla come Andrea Kihlgren) quanto per la complessità dei profumi minerali, idrocarburici e di macchia mediterranea.

Molto interessanti anche i due bianchi di Case Bianche. Betty e Pasquale propongono un fiano in purezza (il Cumalè 2008) e un uvaggio di fiano, malvasia e trebbiano (l’Iscadoro 2008), simili per la caratteristica nota salmastra ma diametralmente opposti quanto a procedimento di vinificazione che per l’Iscadoro prevede una macerazione delle uve a contatto con le bucce di 6 giorni (in tini di castagno per il fiano e in tini d’acciaio per la malvasia e il trebbiano) e l’imbottigliamento senza nessuna filtrazione, chiarifica e stabilizzazione. Profuma di mela annurca, di agrumi e di timo il primo; di susina e di rosmarino il secondo.
Numeri ridotti per la Ribolla 2008 (€ 12.50 – 5000 bottiglie) de I Clivi. L’annata “un po’ cosi” ha permesso una vinificazione diversa rispetto al solito (senza malolattica) delle uve, tutte provenienti da un vigneto vecchio, o meglio giovane di due anni. Ne viene fuori un bianco molto lineare, minerale, tagliente in bocca, intenso, tutto giocato su note agrumate e floreali. Da batticuore il confronto tra il Clivi Brazan 2006 (€ 15) e il Clivi Galea 2006 (€ 15), tocai friulano in purezza da viti di 80 anni nel Collio il primo, di circa 65 anni nei Colli Orientali il secondo. Più rotondo all’ingresso, erbaceo e un filo metallico, quasi idrocarburico il Brazan; più caldo, salino e polveroso il Galea. Entrambi intensi e da moviola quanto a persistenza.
Passo La Distesa, Terpin e La Castellada ma un salto a Le Rocche del Gatto vale la pena farlo, non fosse altro che per assecondare la mia malcelata inclinazione “bianchista”. La verticale di Spigau (dal 2007 al 2004) merita un discorso a parte; così pure Fausto De Andreis, strenuo difensore del pigato vinificato secondo tradizione. Assaggio in rapida successione il Vermentino e il Pigato, entrambi millesimo 2008 (€ 7) con il Pigato che è più salino e il Vermentino che, invece, è più monotematico. Poi, “a cascata” i Vermentino 2006 e 2005 che rivelano un crescendo di sentori idrocarburici, di leggera speziatura e ossidazione, di erbe e fiori leggermente appassiti. «E pensare che il 2005 me l’hanno bocciato alla DOC» dice Fausto. Infine, i Pigato 2006 e 2004: più dolciastro l’impatto al naso del primo, seppur contrastato dalla tipica vena salina e minerale; più mieloso e con sentori di erbe officinali il secondo, ma sempre vivo, sapido/salato, pieno e intenso.
Le rinunce per i rossi sono state anche maggiori… Pochi ma buoni quelli che ho assaggiato. Emozionante il Valtellina Superiore Sassella Rocce Rosse 1997 di Ar.pe.pe.: un chiavennasca maiuscolo per il colore rugginoso, generoso di trasparenze nel calice, per l’ampiezza al naso e per la straordinaria eleganza che avvolge il palato con un sorso intenso eppur delicatamente tannico. E poi la Barbera d’Alba 1999 di Augusto Cappellano: strabuona, intensa, fresca, succosa, elegante e allo stesso tempo potente, da manuale per l’eccezionale coerenza naso-bocca, con tanta e tanta strada ancora da fare.

[foto tratte da internet]
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