Vi ho mai detto che sono un bianchista convinto? Sì, lo so, ve l’avrò detto almeno un milionesimo di volte e se siete al limite della sopportazione, vi capisco. Timorasso, Fiano di Avellino, Greco di Tufo, per dire. E il Soave che è poi il protagonista di questo post e degli altri che andranno in onda prossimamente su questi schermi.
Si tratta della prima di tre bottiglie che mi ha procurato l’amica Maria Grazia Melegari (anima del blog Soavemente) in cambio di altrettante bottiglie di Fiano di Avellino. Naturalmente, è una boccia di quelle mai capitatemi a tiro prima, un cru di Monteforte d’Alpone. O meglio, una selezione di uve provenienti dal vigneto Montegrande, uno dei più grandi – e scusate il gioco di parole – del borgo veronese.
Mi è piaciuto, lo dico subito.
Occhio alla temperatura, però. Il primo approccio, infatti, con qualche grado in più rispetto ai 10-12°C che mi sentirei di consigliare, mi ha lasciato qualche perplessità, finendo per accentuarne la ricchezza e facendolo apparire un vino di quelli too much (cit). Esagerato, ecco.
Ben rinfrescato, invece, si lascia apprezzare per l’eleganza e l’alta definizione delle sensazioni oltre che per quel fascinoso contrasto tra morbidezze e durezze, ovvero tra le accese sensazioni pseudocaloriche – amplificate anche dall’uso (comunque non invadente) dei legni, sia per la fermentazione che per la maturazione – e quelle di freschezza e sapidità, marchio a fuoco dei terreni vulcanici della zona.
Rotondità di cui si coglie qualche indizio già ad osservare il colore paglierino abbastanza intenso e, soprattutto, il lento incedere lungo le pareti del calice. O anche soffermandosi sul complesso bouquet di profumi che, già suggerendo l’intensa mineralità del sorso, regala bellissimi sentori di frutta gialla matura e di spezie dolci.
Lungo, molto lungo il finale, sempre vivo e in tensione, sapido e minerale. Come piace a me, insomma.
Felicissima che ti sia piaciuto. (Questa vale un Picariello!). Scherzi a parte è uno dei Soave che ho potuto studiare nel tempo e si conferma uno dei migliori esempi d’espressione della zona montefortiana, capace di sfidare agevolmente il tempo. Con Graziano Prà ho avuto l’onore di fare delle verticali dove annate vecchie davano l’idea di quanto l’ uva garganega sia capace di evolute note, d’erbe fini, lacca, mieli d’acacia e zolfi. Una sicurezza della denominazione e per di più ora, vignaiolo indipendente.
A presto!
Davvero una bella boccia, Maria Grazia! Altroché se vale un Picariello…
Devo ringraziarti perché ho apprezzato molto tutte e 3 le bottiglie che mi hai dato. Avrò modo di parlare poi delle altre due.
A presto,
a.