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Di Meo, il Fiano di Avellino che viaggia nel tempo

Fiano di Avellino Erminia, Di Meo

Di Meo: vi racconto gli assaggi e le emozioni di qualche ora trascorsa in compagnia di Roberto.

C’è questa cosa bellissima che i vini della “linea tempo” di Di Meo portano tutti (o quasi) il nome di una persona di famiglia: il fatto curioso è che ne manchi proprio uno per lui, Roberto Di Meo, il papà di questo pionieristico progetto enologico, tanto più che c’è il Don Generoso dedicato al fratello (che si occupa, tra le altre cose, del Calendario Di Meo).

Ovviamente non ho mancato di scherzarci su durante il “gioco” che Roberto e la sua collaboratrice Paola Vitale hanno organizzato durante l’annuale visita per Slow Wine, la mia prima in assoluto nell’azienda di Salza Irpina. Un giochino divertente, certo, ma soprattutto una preziosa occasione di studio, con una mini degustazione alla cieca di tutte le selezioni “bianchiste”. Si trattava, in pratica, di individuare 1) l’intruso 2) il vino più vecchio 3) il vino più giovane 4) quello con passaggio in legno.

Il difficile stava alla fine. Perché se non è stato complicato individuare come intruso il Greco di Tufo Vittorio 2007 e come vino più vecchio il Fiano di Avellino Selezione Erminia Di Meo 2003 , qualche dubbio in più s’è posto per il più giovane e per quello passato in legno. E ciò in quanto il Fiano di Avellino Colle dei Cerri 2007 (eccezione all’intrecciarsi dei nomi di famiglia*, a chiamarsi così è la vigna da cui arrivano le uve, la più vicina al comune di Salza Irpina, che è appunto delimitata dai cerri) ha fatto un affinamento in legno, a differenza del giovane – si fa per dire, eh – Fiano di Avellino Alessandra 2012, una sorpresona oltretutto, che alla fine ci ha fregato per quelle sue particolarissime note tostate e affumicate.

prima e dopo il gioco

Permettetemi una velocissima segnalazione per il vino “d’entrata”, il Fiano di Avellino 2019, ottenuto dalle uve dei vigneti tutti intorno al casino di caccia, che mi è parso attraversare un momento di particolare brillantezza e di cui pure sarebbe interessante misurare la tenuta nel tempo.

Arrivo poi al calice che ha calamitato su di sé tutte le attenzioni, e non era mica semplice dopo una batteria di bianchi come quella di cui vi ho parlato sopra: il Fiano di Avellino Selezione Erminia Di Meo 2000. C’è da dire innanzitutto che la famiglia Di Meo ha una profonda affezione per questo vino, divenuto un omaggio alla compianta sorella Erminia, scomparsa nel 2012, che aveva fondato l’azienda insieme con i fratelli Roberto e Generoso. Aggiungo poi che quest’etichetta è il frutto di una vinificazione con leggera macerazione sulle bucce e una lunghissima maturazione sulle fecce fini, protrattasi sino al 18 maggio 2014, data dell’imbottigliamento. Sottolineo, infine, che nel 2000 non c’era ancora la Docg, arrivata soltanto 3 anni più tardi, il che è un ulteriore motivo per considerarlo un vero e proprio pezzo di storia.

Restano, infine, le sensazioni lasciate dall’assaggio di un vino addirittura più slanciato e verticale del millesimo 2003, meno opulento ma parimenti profondo, di incredibile armonia gustativa e straordinariamente integro, a cui il tempo ha donato una grazia e una naturalezza espressiva da lasciare tutti a bocca aperta, senza fiato, come in effetti è stato.

Un vero privilegio poterlo bere insieme a Roberto, al quale va dunque un grosso grazie anche per questo.

* Vittorio è il nome del papà di Roberto, Erminia quello della nonna e della compianta sorella, Alessandra quello della mamma e della figlia.

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