Casomai ve lo foste perso, è on line il video del meeting “Come sarà il futuro del commercio del vino?“ condotto dai due curatori di Slow Wine, Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni. Tra gli ospiti che hanno discusso di crisi del vino e strategie commerciali nel prossimo futuro, c’era anche Antonio Capaldo, Presidente dei Feudi di San Gregorio. Mi piace riportare alcune sue riflessioni sul comparto vitivinicolo irpino (e della Campania, più in generale).
Secondo il numero uno dei Feudi, la soluzione a questo difficile momento per il vino italiano di qualità non può essere né la distillazione di crisi, né qualsivoglia forma di vendemmia verde: «significherebbe distruggere il frutto di un’annata, che invece dovrà essere eccezionale, di rilancio». L’imperativo è resistere, quindi stoccare: «un taglio d’annata al 20% per Fiano di Avellino e Greco di Tufo non sarebbe una tragedia, perché il vino è fresco, è importante. Anzi, secondo me migliora pure». Ne deriverebbero sostanzialmente due benefici: da un lato, si potrebbero smaltire le eccedenze su un periodo di 2/3 anni; dall’altro, risulterebbe fortemente agevolato quel processo culturale di commercializzazione “ritardata” dell’ultima annata licenziata (una pratica – questa – che è ormai adottata da molte aziende irpine, ma non ancora “digerita” del tutto lungo la filiera).
È chiaro – continua Antonio Capaldo – che «per poter fare tutto ciò bisogna avere la possibilità di accedere a forme di liquidità per poter stoccare, in bottiglia oppure in cisterna». La campagna, come più e più volte abbiamo sentito ripetere in questi giorni, non s’è fermata; le aziende, che già stanno affrontando i costi delle lavorazioni in vigna, dovranno poi sopportare anche l’immobilizzazione dei propri vini.
Il pericolo è rappresentato da pratiche speculative di cui, purtroppo, abbiamo già registrato i primi segnali. Vendere oggi al ribasso e con eccessive scontistiche avrebbe «gravi conseguenze negative sul posizionamento dei prezzi sulla catena del valore e sul lavoro degli ultimi 20/25 anni» . Sarebbe, inoltre, un vero e proprio boomerang, dovendo presumersi assai più difficile spuntare prezzi di vendita maggiori a cessata emergenza. Per non dire del fatto che queste politiche di prezzo finirebbero per tagliare fuori i vignaioli fermi sulle proprie posizioni commerciali.
A proposito del Fiano di Avellino.
Aggiungo – se mi è consentito – un’ulteriore riflessione. Sarà forse questa grave crisi il momento giusto per (ri)pensare seriamente all’apporto del legno nella vinificazione e nella maturazione del Fiano di Avellino? Ferma restando la necessità di dare liquidità alle aziende, sarebbe questo un altro (importante) tassello nella costruzione di una reputazione ancor più solida sui mercati internazionali, da spendere quando si tratterà di ricominciare a vendere il vino. Ecco, mi aspetterei che qualcuno (sulla scia dei vari Quintodecimo, Mastroberardino…) ci provasse!