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I rossi “nerelli” dell’Etna.

Una “bevuta doppia” improvvisata, non un confronto. In verità solo una scusa per: (uno) assaggiare due bottiglie etnee, (due) approcciarsi a una denominazione di cui so poco o nulla, (tre) per farsi un’idea di un’annata – la 2007 – che mi dicono non sia stata poi così felice da quelle parti. Due Etna rosso, due diverse aziende: la prima sconosciuta (forse) ai più, la seconda più nota (forse) al resto del mondo (ma non a me).
“San Lorenzo” 2007, Girolamo Russo
Ecco, proprio non me lo ricordavo così salino. O almeno questo non mi era sembrato al primo assaggio, nell’aprile scorso. Macché salino, salato! Così salato che entra e ti apre in due la lingua, che pur sapendo benissimo di essere in cima all’Etna per un attimo ti viene il panico di essere stato dirottato sull’isola di Salina. Si dice di una cosa che è croce e delizia; così per la sapidità del “San Lorenzo“, che è uno dei due crus prodotti dall’azienda (l’altro è il “Feudo”). Parto dalla delizia: l’abbondante salagione che è cosa da me  indistintamente apprezzata nei bianchi e pure nei rossi. La croce, invece: la stessa abbondante salagione che ora come ora rappresenta un limite della beva, appaiata com’è ad altrettanto copiosa freschezza. Difetta di equilibrio, azzarderei (ripeto, now): ché i 14 gradi e mezzo – peraltro assolutamente non pronosticati (io avrei scommesso al massimo sui tredici) – poco possono per bilanciare il sorso, agile, forse troppo,  che paga la timidezza del tannino. Beninteso, il tannino c’è e lo senti soprattutto in chiusura quando acidità e salinità – come dicono in Sicilia –  trovano requia. C’è ed è pure piuttosto rotondo, aggraziato; fatti due conti inadeguato rispetto al resto (s’intende sempre adesso). Il resto, appunto. E cioè il naso, non intensissimo ma d’un eleganza difficile a trovarsi, assolutamente in grado di rapirti i sensi. Dolce, soprattutto: penso ai frutti rossi, alla confettura di ciliegie rosse; penso alle spezie, nemmeno lontanamente avvicinabili alla durezza del pepe o del chiodo di garofano; penso alle erbe, quelle che crescono tutt’intorno al mungibeddu. Dicevo, non intensissimo. Tant’è che alla lunga, dopo una breve virata verso particolarissimi sentori di cenere, si spegne sulle note di chewing gum modello big babol (ricordate quelle fragola e panna?!?). Il colore, ah il colore quanto è bello: un rubino piuttosto intenso, molto seducente dato il sottile gioco di trasparenze.
“N’Anticchia” 2007, Pietro Caciorgna
Apro il secondo e faccio un sorso ignaro della gradazione alcolica. Pensando ai 14 gradi e mezzo del “San Lorenzo” scommetterei forte su una stazza più consona al Marsala che a un ice-wine canadese. Mi capacito soltanto più tardi che i gradi sono “appena” 13. Azz, non proprio n’anticchia in meno. “N’Anticchia“, cioè “un poco” alla siciliana maniera, nome che di fatto allude alla irrisoria produzione: poco più di 4mila bottiglie che manco a fare un pellegrinaggio a Lourdes sei sicuro di trovarne una. Strano, mi dico: tutto, infatti, lascerebbe pensare a una maggiore intensità. Il colore, per esempio, anche questo lucente e trasparente ma più cupo, niente che possa far riaffiorare l’odioso ricordo dei vini isolani di una volta che andavano a rinvigorire corpo e colore di certi vinelli del Nord. C’è una certa affinità di ricordi olfattivi – penso – con l’altro vino, solo meno sdolcinati. C’è pure, però, qualche watt in più d’amplificazione per il secondo; e, soprattutto, una maggiore complessità che mi spinge dritto dritto a scrivere “ampio” sulla  scheda di degustazione che ho in testa. Prugna e amarena, un bel velo di vaniglia, odori balsamici e mielosi, miele di castagno direi. Ancor più nette sono le differenze in bocca: l’approccio è più rotondo ma allo stesso tempo più potente. L’equilibrio è qualcosa più che una promessa, il sorso ha una mineralità (leggi sapidità) inferiore ma non trascurabile; se la gioca con l’altro quanto a freschezza tanto da reggere egregiamente un tannino più possente, più accentuato ma di uguale e desiderabile finezza. Naso e bocca sono due gocce d’acqua: quello che senti di là lo trovi di qua. Lo annusi e lo assaggi dieci volte e dieci volte cambia nel calice. Le costanti sono l’intensità e la durevolezza delle sensazioni.
Che cosa ho scoperto dopo?! Quello che potete leggere qui per il “San Lorenzo” e qui per il “N’Anticchia“: altitudini simili, stesso versante (quello Nord) dell’Etna, pressoché identiche tecniche di vinificazione e affinamento. Un “padrone di casa” comune per entrambe le aziende (vi dice niente il nome Marc De Grazia?!?).

Il primo costa 27 eurini in enoteca, il secondo 32. Sempre che ci arrivino sullo scaffale! Di quale che si parli le bottiglie sono poche, molto poche. Però buone, molto buone.

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