Il Greco di Tufo secondo Bambinuto: racconto di una giornata speciale trascorsa a Santa Paolina, alla scoperta di vecchie e nuove annate.
Confesso che per lungo tempo ho pensato che Bambinuto fosse il cognome di Marilena. Ho scoperto soltanto poi che Marilena di cognome fa Aufiero, ma certo è che Bambinuto – forma dialettale di “benvenuto” – è la sua seconda pelle.
Ho pure imparato negli anni ad apprezzare la schiettezza e la tenacia di questa donna, che non si è mai persa d’animo, anche quando c’è stato da procedere in salita. Un po’ la stessa cosa che tocca fare per arrivare a Santa Paolina, il più vitato degli 8 comuni del Greco di Tufo e terra di elezione per la bianca varietà irpina.
Così, quando Marilena mi ha detto perché non vieni il 19? io ho subito risposto sì. Una tavolata intima, presente – tra gli altri – l’importatore olandese (nei Paesi Bassi cresce l’apprezzamento per i vini di Bambinuto), a Santa Paolina proprio in quei giorni. Quella che era iniziata come una verticale del Greco di Tufo Picoli è divenuta tanto, tantissimo altro: un viaggio tra vecchie e nuove annate, idee e progetti per il futuro, un modo per raccontare la “vera forza” del territorio.
La verticale del Greco di Tufo “Picoli”
C’è subito da dire che il Picoli 2020, respinto dalla Commissione di degustazione per la Docg, non sembra affatto meno buono – e, consentitemi, tipico – del Greco di Tufo Riserva 2019. Rispetto a quest’ultimo, annoterei intanto una prima, significativa differenza: la fermentazione si è conclusa quasi a fine gennaio, invece che all’inizio dello stesso mese. L’affascinante nota cerealicola in esordio ritorna anche al sorso, che è voluminoso, ma incede tonico e ben ritmato, con gradevole salinità finale.
Il 2019 – dicevo – resta il Picoli buonissimo che già era. Ve la faccio semplice semplice, è solo forse più “pettinato” del 2020, ma non gli mancano grip e allungo. Leggermente affumicato, minerale, balsamico: molto bene.
Il livello resta alto pure con la 2018 (annata generosa a tal punto che il prezzo dell’uva è crollato e molti hanno preferito non raccogliere le uve), mentre la 2017 sconta le difficoltà di un clima torrido e tremendamente secco, che ha portato a uve troppo colorate ma svuotate della polpa. Si è provato a salvare il salvabile, pressando uve intere e sottoposte a leggero appassimento.
Tutt’altri discorsi farei per i Picoli stappati in chiusura di giornata. Sia il 2013 sia il 2008 (meglio il primo, a mio avviso) sono frutto di vinificazioni ben più “artigianali” delle attuali, ma hanno un comune denominatore nella costante qualità del lavoro fatto in vigna, all’epoca ancora affidato alla mano esperta di papà Raffaele.
Gli altri assaggi
Appunto al papà Raffaele, scomparso 3 anni fa, è dedicata la novità del Greco di Tufo Riserva Rafilù 2019: «c’era questa vasca – ha detto Marilena – che mi è parsa sin da subito avere qualcosa in più, io ho solo deciso di aspettare». Il prolungato affinamento sulle fecce fini ha restituito un bianco dalla silhouette diversa e di estrema finezza, con un ricamo floreale che va ad impreziosire il profilo agrumato, classico marcatore dell’areale. La bocca è ben presente, slanciata, allungata.
L’assaggio del Greco di Tufo 2019 ha contribuito a definire il carattere dell’etichetta per così dire “base”, che rispetto alle più ambiziose Picoli e Rafilù è quella più esuberante e nervosa, talvolta irruenta. L’ulteriore conferma è arrivata dagli altri millesimi degustati. Se il 2014 era il bianco più maturo, con un’ossidazione piuttosto percebile al naso (assai meno al palato, per la verità), il 2016 è senza dubbio uno dei più buoni mai prodotti. Una sorpresa il Greco di Tufo 2015, che per dimensione tattile ha raggiunto un interessante punto di equilibrio e si propone oggi come un bianco placido e disteso, decisamente meno ostico di come me lo ricordavo.