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Torricino e le sue Riserve: Fiano di Avellino Serrapiano e Greco di Tufo Raone

Fiano di Avellino Serrapiano, Torricino

Un pomeriggio a Torricino, alla vigilia dell’Epifania, per fare il punto su vecchie e nuove annate delle due Riserve di casa: il Fiano di Avellino Serrapiano e il Greco di Tufo Raone.

Devo dire che è sempre un piacere ritornare a Torricino, e non è soltanto una questione di bontà dei vini prodotti nella piccola azienda che porta il nome della località in cui si trova, appena fuori il paese di Tufo in direzione di Pratola Serra. Stefano Di Marzo, titolare ed enologo di casa, past president del Consorzio di tutela dei vini di Irpinia, è sempre molto disponibile all’ascolto e al confronto sui suoi vini (ma non solo), così ogni occasione è buona per stappare insieme bottiglie con qualche anno sulle spalle e provare a ragionarci su .

L’ho già detto, ma repetita iuvant: se i natali tufesi gli valgono di diritto il titolo enologico di grechista (peraltro confermato sul campo a suon di bottiglie convincenti), Stefano Di Marzo ha dimostrato di avere talento anche nella vinificazione del fiano. Non solo Greco di Tufo a Torricino, insomma, ché il Fiano di Avellino Serrapiano dimostra di potersi giocare le sue carte anche al tavolo dei grandi della denominazione. Lo ha confermato una volta di più la verticale proposta dalla prima annata (2015) all’ultima non ancora licenziata dalla cantina (2023). Anzi, vi dirò di più. Stavolta la costanza di performance complessiva tra i vari Serrapiano è sembrata addirittura superiore rispetto alla batteria dei Greco di Tufo Raone pari annate (mancava all’appello la sola 2021).

La verticale di Fiano di Avellino Serrapiano

Il giudizio è interlocutorio per la giovanissima 2023, anche se ho la sensazione di trovarmi di fronte a un’interpretazione stilisticamente assai diversa dal passato (non so dirvi ancora se in meglio). La 2022, complice la calura dell’annata, è parsa generosa e pure più piaciona, al contrario di una 2021 scapigliata, ma decisamente magnetica per via di quelle note di frutta secca e lievemente fumé che, a chiudere gli occhi, ricordano più che altro certi vecchi Champagne di stile ossidativo. Molto curioso il gioco degli opposti tra il 2020 e il 2019: più dritto e ossuto, quasi marino il primo; più maturo, con un curioso sentore di pepper il secondo, che però si allarga un po’ troppo in bocca. Veniamo all’annata 2018, della quale Stefano ricorda l’abbondanza: «mancava addirittura lo spazio in cantina per portare l’uva». Il vino che ne è figlio ha tanta acidità e una bellissima nota di polvere da sparo a ravvivare quella più classica di fiori bianchi. Molto ricca, forse anche troppo, la 2017, in questa fase un po’ in debito di dinamica; occhio al 2016 (che ha fatto malolattica), dal colore più dorato, per il quale il pensiero corre subito ai Riesling, oltre che a un’annata di grande preoccupazione in cantina, per via delle rigide temperature che hanno complicato le cinetiche di fermentazione. Molto avanti la 2015, che però ha una bocca di regale fascino sui sentori di fieno.

… e quella del Greco di Tufo Raone

Se il 2023 sembra oggi più interessante rispetto al coetaneo Serrapiano e la 2022 inusualmente più sottile, il 2020 – verrebbe quasi da dire – è il più Raone di tutti, almeno in questo momento e per come pensiamo oggi di conoscerlo: molto saporito al sorso, di buon calore e dinamismo, con note olfattive tra il cerealicolo e la macchia mediterranea. Intenso, sì, ma anche più sconnesso il 2019, che deve ancora trovare un primo punto di equilibrio, mentre il luminoso 2018 è bello almeno quanto il Serrapiano dello stesso millesimo. Non sono giudicabili 2017 e 2015 per via di sugheri che non hanno lavorato bene, mentre il 2016 si dimostra bianco quasi inaspettatamente misurato, senza irruenza, che al contrario ha slancio e finezza.

[ph Ombretta Ferretto]

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