Sono ritornato in Valpolicella l’altra sera, per partecipare alla verticale storica dell’Amarone Vigneto Sant’Urbano di Speri. Una verticale palpitante, oserei dire, che ha pienamente rispettato le attese, ripagandomi dei cento e passa chilometri che mi sono sparato fino a Pedemonte.
Un evento a cui non potevo mancare, raccogliendo il graditissimo invito di Maria Grazia Melegari (date un’occhiata a Soavemente, il suo blog, oppure cercatela con questo stesso nome su twitter) e della delegazione AIS di Verona. Con un grazie sentito anche a Giampaolo Speri, padrone di casa e rappresentante dell’ennesima generazione di una famiglia dalle origini antiche, che ancora oggi produce vini di territorio e Amarone nel cuore della Valpolicella classica e secondo tradizione.
Senza voler anticipare nulla – ché della verticale parlerò ben presto di là, sul sito di Luciano Pignataro – dico solo che la degustazione mi ha in un certo senso riappacificato con l’Amarone dopo alcune delusioni del passato (non ultima l’opinabile discesa in campo delle famiglie dell’Amarone d’Arte – tra cui appunto Speri). Tenuto conto che lo scarso feeling con la tipologia è anche da attribuirsi, nel mio caso, al non aver mai assaggiato niente di così vecchio da permettermi di coglierne forse l’essenza. Fatto è che l’Amarone è vino da lungo invecchiamento, spesse volte (purtroppo) snaturato dalle esigenze del mercato e da quello che Franco Ziliani aveva definito «processo di amaronizzazione forzata».
Una verticale tanto più importante se si pensa che l’excursus era di quelli tosti: 5 annate dagli anni settanta al 2000, passando per gli ottanta e i novanta con le rispettive tendenze enologiche. Una possibilità unica, quindi, per ripercorrere le tappe dell’evoluzione (anche stilistica) del vino simbolo della Valpolicella.
Con due annate, il 1973 e il 1995, a loro modo spet-ta-co-la-ri.