Sarà forse il primo vino umbro che capita a tiro su queste paginette e devo dire che come debutto non è affatto male. Un giovanotto, quello sì. Che comunque il vino, in bottiglia, c’è finito il 23 settembre 2008. Poco più di due anni, quindi: tutto sommato un discreto periodo di affinamento in vetro.
Discorsi anagrafici a parte, il Pagliaro ha fatto la sua bella figura. E anzi, trascorse un paio d’ore dalla stappatura, è venuto fuori alla grande, più giovane ancora di quanto avremmo soltanto osato immaginare poco prima.
Piccoli frutti rossi e neri – la mora, soprattutto – e grande succosità. Una beva che unisce potenza e eleganza: potenza del tannino, vigoroso ma già ben levigato; eleganza dei profumi e del sorso, coerente e fresco assai, con quella bella punta di salinità che non guasta mai. Un finale in crescendo, vibrante; insomma, profondo e di grande soddisfazione finale.
Ha stoffa, ecco. E non lasciatevi spaventare dai 14 gradi e mezzo d’alcol dichiarati in etichetta ché, ve lo assicuro, non si sentono affatto. Piuttosto, accostatevi con umiltà alla boccia di un artigiano in quel di Montefalco che raccoglie le uve manualmente, le vinifica a contatto con le bucce (l’annata 2005 fa 46 giorni di fermentazione con macerazione) e fa maturare il vino per i primi dodici mesi in acciaio e poi altri 24 in botti grandi di rovere di Slavonia, prima dei dodici mesi di bottiglia che precedono la commercializzazione. Nessuna stabilizzazione forzata; questo è il motivo della presenza di più d’un sedimento sul fondo.
Pagliaro – lo dice l’etichetta – è il nome della vigna da cui provengono i grappoli di sagrantino utilizzati. Ho scoperto, poi, che il vigneto si trova a un’altitudine di circa 400 metri, su terreno argilloso, e che è composto di viti vecchie dai 20 anni in su.
Costo in enoteca: sui 60 euro. Da comprare adesso e da bere chissà quando. Amen.