Ben 11 annate di Vigna del Vulcano, il Lacryma Christi del Vesuvio bianco di Villa Dora.
Tempi lunghi per le vinificazioni e agricoltura biologica sono un po’ la summa del credo enoico di Villa Dora. A distanza di oltre vent’anni dalla sua fondazione, era il 1997, le scelte tanto coraggiose quanto lungimiranti di Vincenzo Ambrosio stanno dando i loro frutti.
Ne hanno avuto prova anche gli appassionati che a ottobre scorso hanno affollato i banchi della FIS per la verticale storica del Vigna del Vulcano, il bianco più importante di Villa Dora da uve caprettone e falanghina. Un bel biglietto da visita, per la verità, non solo per l’azienda, ma per l’intero territorio vesuviano.
Ci sarebbe poi da dire che cambiano le etichette, i consulenti, le annate (per altro tutte in vendita sul sito aziendale, bravi!), ma non il risultato finale: vini certamente diversi in base alla diversità dell’annata, e tutti perfettamente integri. Una cosa mica così scontata.
Non voglio dilungarmi oltre, di seguito trovate alcune mie note sulle bottiglie che ho assaggiato durante quella serata, presenti sia Vincenzo Orabona, nipote di Vincenzo Ambrosio, sia il consulente enologo Fabio Mecca. Prima, però, due curiosità: 1) gran parte dei vigneti sono a “pergola vesuviana”, un sistema di allevamento che l’attuale disciplinare vieta di utilizzare per i nuovi impianti; 2) le viti di caprettone, vitigno a lungo confuso con il coda di volpe, sono state ottenute a partire dalle marze dei vecchi vigneti aziendali.
La verticale
2017: note di pompelmo, lieve idrocarburo, un’impronta aromatica che sembra condurre a Oriente. È stata un’annata complicata dalle parti del Vesuvio (ricordate poi la stagione degli incendi?) e le uve hanno raggiunto la maturazione a fatica agli inizi di settembre. Sorso caldo, frutto dolce, una leggera speziatura, una nota balsamica sullo sfondo che ravviva un po’.
2016: colore più intenso, naso, di contro, più garbato. Il leit-motiv è il giallo: bocca compiuta, saporita, gustosa, con una bella persistenza finale e una scia sapida che invoglia alla bevuta.
2015: funghi e sottobosco, qualcosa che ricorda la castagna del prete. L’alcol manda un po’ fuori giri il sorso, che regala sensazioni di maggiore pungenza e asprezza del frutto, e scappa un po’ via sul centro bocca. Non è stato un millesimo semplice, il tanto caldo ha fatto piombare le viti in un forte stress idrico.
2014: la prima boccia ha un problema (tappo?), decisamente meglio la seconda. Il registro cambia nuovamente, e ci si sposta su note speziate, quasi torbate. Il palato è più algido e verticale, addirittura meno concessivo di alcuni millesimi che lo hanno preceduto. Seppur per motivi differenti, anche quest’annata ha avuto le sue difficoltà, con una resa del 30% in meno.
2013: appena sbilanciato, sulle prime, si scioglie poi, anche se (forse) manca un po’ di definizione. Note di limone e floreali (ginestra), freschezza agrumata nell’allungo finale.
2009: è stata l’ultima annata con la consulenza dell’enologo Roberto Cipresso. Sorso pieno, frutta matura e spezie, buone intensità e progressione, nette sensazioni idroarburiche.
2008: l’idea di vino sembra quella, solo trova maggiore spessore in bocca, con una beva discretamente godibile e (forse) pure di più facile lettura.
2006: profilo decisamente più nordico, netti sentori di albicocca, sorso verticale e affusolato, magari appena meno persistente del precedente millesimo.
2005: intenso e ricco, forse troppo, un po’ sbilanciato pure, ma sapido e balsamico, di ottima vocazione gastronomica.
2003: grasso, floreale di glicine e ginestra, terroso, funghi e sottobosco. Al palato c’è buona salinità, un po’ incompiuto il finale, ma cavoli se è un vino integro a distanza di 17 anni.
Il 2002 è un vero e proprio unicum nella storia aziendale, il solo bianco di Villa Dora a fare un breve passaggio in rovere (3 mesi). Altre prove sono state fatte in millesimi successivi (tipo il 2003), ma il risultato non ha mai convinto, al pari di quello nel calice, almeno per quel che mi riguarda, benché io, tra l’altro, sia un estimatore del genere.
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