Al Nottingham Forest ci misi piede per la prima volta pochi giorni dopo lo sbarco a Milano: tre anni e mezzo fa, per la cronaca. Fu (forse) una delle prime tappe del tour organizzato da un amico con-terroneo per farmi ambientare nella nuova città.
Rimasi affascinato dal locale, tanto piccolo quanto pieno zeppo di cianfrusaglie solo in apparenza disordinate, che sono poi -a quanto pare- i segni degli innumerevoli viaggi dei boss. Mi colpì, pure, l’atteggiamento schivo e un po’ severo dello staff, sempre pronto a riprenderti nel caso alzassi un pochettino la voce (cosa che -nel mio caso- s’è verificata assai spesso per via del popo’ di vocione che mi ritrovo). Un fare che soltanto col tempo ho ri-pensato e interpretato per quello che è veramente: un modo (l’unico, forse) per difendere la sacralità e la spiritualità di un luogo che è un tempio del bere bene.
Capisci così perché nel locale si entra solo c’è posto o perché l’atmosfera è così soffusa, luce fioca e poche lampade in rosso sul bancone. Il bancone, appunto: un altro pezzo sacro (aggiunto dopo i lavori di ristrutturazione del marzo 2009), un tempo appartenuto al Knickerbocker Hotel di New York «dove ai primi del ‘900 venne creato il Martini Cocktail. Sopra questo legno appoggiarono il bicchiere Caruso, Rockfeller, Mary Pickford, Charlie Chaplin e ora voi».
Trovare posto, dicevo, non è affatto semplice. A qualsiasi ora. La qualità dei cocktail, però, vale l’attesa a volte anche molto lunga, da consumare rigorosamente all’esterno (in caso di avverse condizioni climatiche, il consiglio è di trovare riparo davanti al portone del civico 1, di fianco al locale).
La carte è enorme. Così grande che ormai io faccio così: apro a casaccio la morbida copertina marrone dello spesso menù e scelgo tra le proposte descritte nelle due pagine che mi si aprono davanti. Dai classici ai più fantasiosi. Il kit per l’igiene orale, per dire: un tubetto (di dentifricio) contenente spuma di mojito (che mi spazzolo beatamente sui denti, nella foto sotto) e un altro cocktail (colluttorio) servito in un bicchiere a parte. Fino al mentirita -la versione originale del cuba libre, dicono- la piccola bugia di una Cuba che non è mai stata libera: rhum bianco, succo di limone e cocacola.
Un consiglio? Evitare di andarci con amici analcolici come è successo a me di recente. Ché la cosa è triste assai, credetemi 🙂