cilento, etichette dalla campania

Luigi Maffini, la sfida sull’aglianico (e il Cenito 2020)

Va bene considerarlo uno dei più ispirati bianchisti italiani, ma Luigi Maffini se la cava benone pure con i rossi da aglianico. Chiedetegli cosa pensi dell’uva a bacca rossa più importante del Sud Italia: non esiterà a dichiarare il proprio amore e vi risponderà che nel Cilento ci sono tutte le condizioni per fare grandi vini.

L’indiscutibile vocazione rossista di Luigi Maffini – sin qui, forse, passata sottotraccia per via di ripetute, eccellenti performance sul fronte bianchista – m’è parsa ancora più netta nelle ultime vendemmie, coerentemente alla possibilità di un maggiore “controllo” sulle uve. Dopotutto, quello realizzato sulla collina di Giungano, a partire dal 2006, con le marze delle vecchie viti piantate dal papà a San Marco di Castellabate, in località Cenito (tenete a mente), è un parco vigne di prim’ordine.

C’è però molto altro: visione, ambizione, incessante ricerca della perfezione, tutte cose che contribuiscono pure a delineare la personalità di un personaggio chiave della viticoltura cilentana. Prendete la nuova cantina, a poca distanza dal luogo in cui ha scelto di vivere insieme alla moglie Raffaella Gallo, conosciuta sui banchi dell’Università, e ai due figli: un esempio di razionale concretezza e funzionalità, senza però mai sacrificare l’estetica. Domandate a Luigi il perché di serbatoi così grandi e imbottigliamenti effettuati con precisione svizzera (sarà vero che gli svizzeri so precisi?): «non è possibile che ci siano uno, dieci, cento Kratos diversi – giusto per citare il suo vino più rappresentativo, il Fiano* –, certo poi l’annata accentuerà l’una o l’altra caratteristica risultato di quel determinato andamento stagionale».

Com’è il Cenito 2020.

Enunciato il teorema (occhio, ché i rossi di Maffini, già ottimi, lo saranno ancor di più), ecco un’ulteriore dimostrazione: il Cenito 2020 è buonissimo, almeno quanto il Siopé 2016 (attendiamo sia licenziata la nuova annata, la 2019, ritenuta addirittura superiore). Alla lapidaria asserzione potremmo intanto aggiungere che 1) il Siopé, “l’ultima parola sull’aglianico” secondo il suo ideatore, è solo (ovviamente) diverso rispetto al Cenito: in un territorio dove ai ottengono vini con Ph tali da garantirne una certa longevità, le uve destinate al primo sono quelle di un vigneto esposto a ovest-sud ovest che si esalta nelle annate tendenzialmente più fresche; 2) nel siccitoso millesimo 2020 il Cenito ha beneficiato dei grappoli che sarebbero stati altrimenti utilizzati per il Siopé, che invece non è stato prodotto.

Detto che l’annata ha dato migliori risultati sull’aglianico, che non sul fiano (basti pensare al Kratos 2020, pur buonissimo, o ancora meglio al Pietraincatenata pari annata, decisamente più ricco e grasso rispetto, per esempio, al millesimo 2019), cos’ha dunque di speciale il Cilento Aglianico Cenito 2020? Finezza, definizione, intensità, allungo, complessità.

E vi pare poco?

*almeno sin ora, ma l’ho già detto e lo ripeto: la partita sull’aglianico è apertissima!

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