A conti fatti, quello di Allegrini è stato l’unico che m’ha convinto tra quelli delle dodici famiglie dell’Amarone d’Arte presentatesi alla stampa lo scorso 14 settembre (
ne avevo parlato di là, sul sito di Luciano Pignataro).
L’unico. Come suggerisce curiosamente l’etichetta, dove le tre lettere finali della parola amarone sono in rosso e disegnano a contrasto la parola inglese “one”, appunto “uno”. Parlo dell’amarone classico, provato in due annate diverse: il 2006 e il 1997. Non del più famoso cru “La Poja” ché quello, io, non l’ho mica mai assaggiato.
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| Amarone della Valpolicella classico 2006 (foto @Stralcidivite) |
Il primo – il 2006 – ha la stessa e identica eleganza dell’altro: profuma di bacche e frutti rossi, di china e di tamarindo, ha una lieve nota erbacea sullo sfondo. In bocca è molto rotondo, il tannino è davvero ben calibrato e il sorso non ne risulta mai appesantito, anzi, piuttosto godibile, vivaddio. L’uvaggio è corvina veronese per l’80%, rondinella (15%) e oseleta (5%).
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| Amarone della Valpolicella classico 1997 (foto @Stralcidivite) |
Il
1997, invece, ha dalla sua il fascino della maturità e degli anni già trascorsi. Lo anticipa già il colore che vira sulle sfumature del granato; lo confermano, poi, i profumi di caffè e cioccolato al rum, di sottobosco e terriccio bagnato, di canfora e d’uno speziato quasi di paprika. Ha maggiore intensità, al naso come in bocca, dove è secco, assai rispondente all’impianto olfattivo, intenso e appagante nella sua lunga durata. Promette di migliorare ancora. Con il tempo.
Mi è piaciuta la leggiadria di entrambi. Ovvero, entrambi sono vini di grande struttura ma non ci sono forzature e – soprattutto – questo è un pallino fisso, possono ben figurare a tavola. L’abbinamento: il discorso che più mi sta a cuore quando si parla di amarone e quello che più mi fa pensare, a volte, che sia un vino spesse volte sopravvalutato.