Strana storia, quella dell’aligoté: varietà a bacca bianca allevata in Borgogna sin dal diciassettesimo secolo, ha quasi sempre vissuto all’ombra dello chardonnay. Un po’ quello che è accaduto (e accade ancora), per certi versi e con le dovute proporzioni, in Campania, con la coda di volpe, uva troppo spesso sbrigativamente relegata a ruolo di comparsa rispetto a fiano e greco.
A sentire Giampaolo Gravina, Jean Claude Rateau «è uno dei baffi più belli di Borgogna» e la sua azienda – cosa non proprio usuale da quelle parti – è pure agevolmente raggiungibile, grazie alla grossa insegna posizionata a vantaggio dei turisti.
Da circa 10 ettari di vigna (che scenderanno a poco più di 7 con i prossimi espianti), Jean Claude ottiene, in pari percentuale, bianchi e rossi. Tra i primi, c’è questo Bourgogne Aligoté “Les Grands Bignons” 2015, ottenuto con rese bassissime (25 hl/ha) da un vecchio vigneto ad alberello che si trova nella frazione non-mi-ricordo-il-nome alle spalle della cittadina di Beaune.
Secondo lo stesso Jean Claude, «vale uno chardonnay» ed io posso confermarvi che è così. Il vino ha un lato piacevolmente più ricco, favorito da un ragionato uso del legno, ma la buona dose di freschezza conferisce ritmo e slancio alla beva. Sa di agrumi, limone ed erbette, scende giù che è una bellezza, insomma – dice giustamente Giampaolo – tocca farne scorta.
In Italia non è importato ma su internet si trova intorno ai 15/16 europei, spedizione esclusa.
Ah, e dire che gli altri due bianchi bevuti nella stessa serata erano i più blasonati chardonnay Beaune Premier cru “Champs-Pimont” 2013 del Domaine Jacques Prieur (opulento e ancora imbrigliato, profumato di burro fuso, fiori di arancio, pepe bianco, caramello e noce moscata, gradevolmente balsamico) e il Clos des Mouches 1998 di Joseph Drouin (in generale più “avanti” della sua età, che ha però riscattato al palato qualche incertezza iniziale, dovuta anche alle speziature del legno e a profili ossidativi abbastanza marcati).