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Giovanni Rosso, dalla Langa all’Etna

Un’azienda iconica di Langa, la Giovanni Rosso, che nel 2016 ha investito sull’Etna. La degustazione organizzata con la Banca del Vino il 18 settembre scorso a Napoli intendeva proprio raccontare la doppia anima della creatura di Davide Rosso.

C’è una frase che mi ha molto colpito – l’ha pronunciata l’altra sera Matilde Bordino, che ha condotto la degustazione – e che racconta bene quello che probabilmente è un aspetto significativo della personalità di Davide Rosso: «Davide è uno che se ci parli adesso non ti dice che cosa ha fatto ieri o sta facendo oggi, ma quello che farà tra 5 anni. Il compito mio e di tutto lo staff è quello di provare a stargli dietro».

Giovanni Rosso e l’Etna

È questa irrequietezza a spiegare come mai Davide, a capo di un’azienda profondamente langarola, abbia a un certo punto deciso di investire in un territorio vitivinicolo emergente qual è l’Etna. E proprio dai due vini etnei è iniziata la degustazione che ha inaugurato la quarta stagione degli eventi della Banca del Vino a Napoli. Tra l’Etna Bianco 2023 e l’Etna Rosso 2020 ho preferito il primo, da uve carricante (con un saldo di altre varietà locali come inzolia e minnella), capace di coniugare densità e slancio in un contesto di generale finezza che sembra invece mancare, almeno in parte, al secondo. Al netto di un’incertezza iniziale, l’Etna Rosso 2020 ha, se non altro, intensità di sapore: gioca più di spada che di fioretto, insomma.

L’esperienza di questi anni è servita a prendere le misure con il nerello mascalese, che è varietà assai diversa dal nebbiolo: se quest’ultimo predilige macerazioni lunghe, anche lunghissime, il primo non può andare oltre i 7/10 giorni di contatto con le bucce, pena estrazioni eccessivamente amarognole. L’altra frontiera stilistica riguarda la gestione dell’affinamento in legno: gli esperimenti in anfora vanno nella direzione della ricerca di una maggiore grazia e un migliore equilibrio gustativo.

I Barolo di Giovanni Rosso

Impossibile non soffermarsi sui Barolo di casa Rosso e, in particolare, su 3 annate che più diverse non si può (la generosa e materica 2019, la fresca e piovosa 2014, la tardiva 2013) e su due tra le MGA più reputate di Serralunga d’Alba, Cerretta e Serra (da non confondere con La Serra di La Morra).

Discorso a parte merita il sorprendente Barolo del Comune di Serralunga d’Alba 2014, che colpisce per dinamismo e naturalezza dello sviluppo gustativo, pur se con una trama tannica appena più ruvida rispetto a quella dei Cerretta e del Serra assaggiati.

Quanto ai Barolo Cerretta e al Barolo Serra il parallelismo con l’annata 2019 ha permesso di comprendere le peculiari differenze tra le 2 MGA della striscia di Serralunga d’Alba. Se il Cerretta, nella parte settentrionale del territorio comunale, è a dimora su terreni argillosi (Marne di Sant’Agata fossili), a Serra, più a Sud, troviamo invece i suoli tipici della formazione di Lequio, e quindi decisamente calcarei. Ne deriva, al netto dell’identico procedimento di vinificazione, un profilo gustativo molto diverso, con il Cerretta che è più pieno e rotondo nel frutto, materico, avvolgente, talvolta lievemente surmaturo (come mi è parso nel 2019) e con le note balsamiche sempre in primo piano, e un Serra più speziato e assolutamente più slanciato, con la sferzata acido-sapida ad assicurare tensione, progressione e allungo finale.

Sembra rappresentare un’eccezione a questa semplificazione il buonissimo Barolo Cerretta 2013 – vino della serata, direi – che è tutto fuorché aperto e rilassato, e lascia intravedere l’enorme potenziale di un rosso rigoroso e di profonda austerità.

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