Oh Fiorduva, quanto sei cambiato (in meglio, s’intende!): il bianco di punta di Marisa Cuomo mi sembra oggi molto più centrato di un tempo.
Se c’è un vino iconico della produzione vinicola della costiera amalfitana, quello è sicuramente il Costa d’Amalfi Furore Bianco Fiorduva di Marisa Cuomo. Sarà forse per questo che potrebbe non aver stupito più di tanto (o forse sì) il fatto che il Fiorduva fosse l’unico bianco all’interno della cassettina di legno regalata da Mario Draghi al Presidente statunitense Joe Biden.
Saranno trascorsi almeno una decina d’anni da quella volta in cantina a Furore, e molte cose sono cambiate da allora. Migliore, tanto per cominciare, è la reputazione dei vini campani in Italia e nel resto del mondo, e lo sa bene Andrea Ferraioli, marito di Marisa, oggi alla guida del Consorzio vini Vita Salernum Vites. Diverso è, ovviamente, anche il mio palato, che in questi anni si era un po’ allontanato da liquidi che pure lo avevano sedotto agli inizi della mia passione per il vino. Sono cambiato io, certo, ma lo stesso Fiorduva mi sembra molto diverso rispetto a quando nei parlai su Intravino, per dire.
Resta sempre valido il discorso riguardo alla genialità del nome – crasi di Fiordo e uva –, che funzionava benissimo già allora. Il segreto è stato probabilmente quello di aver legato tra loro due degli elementi che maggiormente caratterizzano, ormai anche nell’immaginario comune, il paesaggio della Costiera: il bellissimo fiordo di Furore, a picco sul mare, e l’uva che pende dalle pergole terrazzate, strappate – è proprio il caso di dire – alla roccia.
Il Fiorduva 2020
Quello del Fiorduva, in ogni caso, m’è parso un cambiamento in meglio. Il progressivo “alleggerimento” nel legno*, specie negli ultimi 5/6 anni, evidentemente combinato con la maggiore consapevolezza ed esperienza nell’uso dello stesso, è oggi molto più funzionale all’esaltazione del corredo aromatico di partenza delle 3 uve – fenile, ginestra e ripoli (percentuali 30/30/40) – coltivate nel comprensorio amalfitano.
Una sensazione che porto via ancora più netta dall’assaggio del Fiorduva 2020, ritrovato alla cieca nella masterclass sui vini bianchi a Campania Wine, che – per la cronaca – non avevo nemmeno riconosciuto subito. I finissimi profumi floreali, fruttati, balsamici paiono esprimersi più liberamente e in tutta la loro pienezza: al legno, meno marcato di un tempo, il compito di raccordarli e dirigere l’orchestra!
[ph credits Federica Randazzo]
* la scoperta dell’acqua calda, direte: tendenza comune ad altri grandi bianchi campani della primissima ora.