
Napoletanità e contemporaneità sono due parole che vengono subito in mente quando si parla di Piedirosso dei Campi Flegrei. Dopotutto c’è forse un vino che è capace, più di questo, di raccontare l’intimo senso di appartenenza a una città? C’è forse un rosso più moderno, nella migliore accezione del termine, per dinamismo e slancio?
Aggiungerei che al Piedirosso dei Campi Flegrei spetterebbe di diritto un posto nella categoria dei “vini difficili da fare, ma semplici da bere”, senza che ciò, beninteso, possa essere valutato come un limite. Ditemi voi se questa non sia, invece, un’eccezionale opportunità per la tipologia, che, al netto di interpretazioni stilistiche talvolta differenti con sporadiche variazioni sul tema della canonica vinificazione in solo acciaio, va progressivamente rosicchiando spazio a quella «serpeggiante sensazione di sottovalutazione», per dirla con le parole di Giampaolo Gravina*.
Il Piedirosso dei Campi Flegrei Colle Rotondella di Cantine Astroni
Il Colle Rotondella, poi, è vino emblematico e fortemente rappresentativo del lavoro portato avanti in questi anni da Gerardo Vernazzaro&Co. a Cantine Astroni. Un rosso di archetipica bevibilità e leggerezza che racconta quell’ampia caldera vulcanica immediatamente a ovest della città di Napoli, esplorando orizzonti di bevute goduriose e gratificanti.
L’apertura del nuovo spazio-laboratorio sottostante l’Abraxas Osteria di Nando Salemme è stata l’occasione perfetta per proporre un ragionamento sullo stato dell’arte del Piedirosso dei Campi Flegrei Colle Rotondella di Cantine Astroni, proposto in 5 annate (dalla 2018 alla 2023 oggi sul mercato).
Che cosa ne è venuto fuori?
Che per inquadrare bene il millesimo 2023 basterebbe un dato su tutti: soltanto 8 mila le bottiglie licenziate, a fronte di una produzione che si attesta annualmente intorno alle 12 mila unità. Al cospetto di un frutto e di un colore più concessivi e generosi, risultato di un andamento stagionale a dir poco bizzarro e di un’annata che più complicata non si poteva (la peronospora ha picchiato duro da queste parti) per una varietà già di suo tendenzialmente avara di frutti, il Colle Rotondella 2023 ha una non comune approcciabilità che si rivela bene in quella sua indole sanguigna e succosa, di fiori freschi e frutta da prendere a morsi.
Che il Colle Rotondella 2022 è diversisissimo, sotto molteplici aspetti. L’approccio olfattivo è di sicuro meno intenso, ma il vino – che all’uscita sul mercato (e pure dopo per la verità) aveva fatto molto parlare di sé, innanzitutto (ma non solo) per le sue trasparenze cromatiche – è parimenti interessante pur sfoggiando una silhouette diversa. Il sorso di grande scorrevolezza si giova di un bel gioco di contrasti che valorizza specialmente la componente acido-sapida.
Che il Colle Rotondella 2021, quasi finito per passare sottotraccia, fa decisamente la sua figura, proponendosi come iniziale punto di approdo di un ragionamento e punto di raccordo con i millesimi più datati dello stesso vino in degustazione.
Che, ai punti, è il Colle Rotondella 2018 il vino preferito al tavolo, essendogli riconosciuta una maggiore tipicità e aderenza varietale espressa in toni decisamente più scuri rispetto ai vini più giovani; al contrario del Colle Rotondella 2019, che è meno definito, più wild e chiaroscurale, e con un finale di bocca più contratto.
* che, pochi mesi prima della sua scomparsa, ha firmato un approfondimento (non il primo) sui vini dei Campi Flegrei nell’episodio 1 – Vulcano – di Versanti Magazine.