Lui, il “Bruma d’Autunno”, è il cru aziendale, ottenuto da uve barbera in purezza del vigneto “Riccardo”, vecchio più di 70 anni e parzialmente rinvigorito nel 2000. La produzione è limitatissima, solamente 3243 bottiglie.
Colore? Rosso rubino. Un classico, perfettamente in stile barbera, però direi più luminoso e trasparente. La consistenza? Le piste tortuose di lacrime e archetti lungo le pareti del bicchiere danno un’idea della struttura che di lì a poco si toccherà con mano (si fa per dire…).
Più complessi che intensi i profumi. Un bel frutto croccante, una vivace nota floreale e, sullo sfondo, afflati di tabacco, di terriccio e di vegetale. 14 mesi in botti grandi di rovere francese e 12 mesi di affinamento in bottiglia prima della messa in commercio. Risultato? Il legno esalta e non prevarica.
Il sorso è secco, la componente alcolica (13.5%) si fa sentire il giusto e contribuisce all’atterraggio morbido al palato. La freschezza non sarà quella delle barbera dell’astigiano e dell’albese, per intenderci, ma c’è e lavora bene a braccetto con la sapidità; mai spigoloso il tannino che, anzi, fa la sua figura. Generosa e coerente la beva, gli aromi ciliegiosi e di frutti rossi tornano e ritornano in bocca con un bel ritmo.
Un ottimo corpo. La grande bevibilità, l’eleganza e l’armonico intrecciarsi delle componenti sono le sue frecce migliori. Non è un azzardo scommettere ancora oggi, a più di quattro anni dalla vendemmia, su un’ulteriore evoluzione nel medio termine.
Per l’abbinamento? Io ho optato per un “gemellaggio” con le candele di grano duro al ragù del mio papà. Un successone!