La prima volta che ho sentito dire l’Aglianico è il Barolo del Sud è stato ai corsi dell’Associazione Italiana Sommelier e all’inizio mi sembrava un gran complimento: il (giusto) riconoscimento del pregio assoluto dei vini ottenuti da uve aglianico, oggi sempre più apprezzati in Italia e nel mondo.
Con il passare del tempo*, invece, ho sviluppato una certa intolleranza [nossignore, tollero invece molto bene pure il Barolo: un gran vino, altroché!] 😉 ad un’affermazione che, di fatto, mortifica le velleità di dignità propria di quello che è unanimemente considerato il vitigno principe del Sud [ecco, questa mi piace] e sta riscuotendo sempre più successi anche all’estero. Con rispetto parlando, l’Aglianico è l’Aglianico, punto; semmai, mi sia consentita la battuta con smisurato campanilismo, è il contrario: il Barolo è l’Aglianico del nord. 😀

È evidente come il paragone con il Barolo sia forzato, impreciso e solo all’apparenza lusinghiero per le più importanti denominazioni da aglianico**. A questo riguardo, quoto il pensiero di Daniel Romano aka Malakunin nei commenti a questo sciagurato post. Cito: «Parlare ancora di Barolo del Sud nel 2014 significa rimanere legati a semplificazioni e luoghi comuni di anta anni fa. Oggi l’aglianico ha un suo pubblico, una sua riconoscibilità e un suo percorso ben definito. Non vedere questo significa aver perso molto della sua crescita degli ultimi anni».
L’Aglianico non è e non sarà mai il Barolo (e viceversa); così come -giusto per rimanere in tema di fantasiosi paragoni e clamorosi autogol- sulla vetta dell’Etna non sembrerà mai di stare in Borgogna, con buona pace di chi vuole farmi credere il contrario.
* lo stesso tempo di cui abbisogna l’Aglianico per essere grande.
** Aglianico del Taburno, Aglianico del Vulture e Taurasi.
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