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“Alle radici del Barolo” e la masterclass di Armando Castagno a Taurasi

La Banca del Vino a Taurasi: masterclass "Alle radici del Barolo" con Armando Castagno

Potevo mica non scrivere nulla su “Alle radici del Barolo“, che abbiamo presentato in quel di Taurasi, con tanto di masterclass firmata Banca del Vino e condotta da Armando Castagno? Certo che no…

Portiamo il Barolo a Taurasi, ci siamo detti al telefono con Alessandro Barletta, fiduciario della condotta Slow Food Irpinia Colline dell’Ufita e Taurasi: il grande vino di Langa nella terra del grande rosso d’Irpinia. Cos’ ‘e pazz! 😀

Cartellino giallo – rosso, al bisogno 😀 – da sventolare in faccia a chi avesse osato dire l’indicibile – il Taurasi è il Barolo del Sud –, ma fortunatamente non siamo andati oltre qualche richiamo verbale… Taurasi e Barolo sono semplicemente due grandi vini. Diversi, per questo non paragonabili.

Il libro “Alle radici del Barolo”

Nel rispondere a una domanda in sala, Armando Castagno non ha mostrato esitazione: è la pagina 123 la più bella del libro. In visita all’azienda Fratelli Alessandria a Verduno (una delle 10 cantine protagoniste del libro, attive già prima dell’Unità d’Italia), Vittore aveva esternato il suo apprezzamento per la scelta del titolo, dovendosi rinvenire le radici del Barolo, appunto, «nella fragilità, nelle difficoltà, nell’autenticità, nella precarietà di queste vicende di famiglia: non è una storia d’amore quello che è successo nelle colline qua fuori».

Una frase che sintetizza bene la prima parte del volume edito da Slow Food Editore, in cui lo storico Lorenzo Tablino, già enologo di Fontanafredda, ripercorre le vicende del vino simbolo di Langa dagli albori al (recente) successo commerciale, risalente agli anni Novanta del secolo scorso. Insomma, ce n’è voluto prima di essere Barolo, tanto più che la Langa è stato «un territorio – ce lo ricorda Carlo Bogliotti nell’introduzione – per anni caratterizzato sostanzialmente dalla povertà (a tratti estrema) dei contadini».

Tre curiosità sul/nel libro. 1) Alla ricerca di testimonianze sul bianco Langhe Favorita, Lorenzo Tablino si è ritrovato a dare seguito alla richiesta di informazioni rivoltagli dalla famiglia Alessandria sul conto dei fratelli Dabbene (pag. 21), produttori di Barolo all’inizio del XIX secolo. Il libro nasce in pratica così. 2) Tra le musiche degli aperitivi lirici che si fanno di tanto in tanto a Fontanafredda (pag. 165), c’è anche, insospettabilmente, un motivetto tutt’altro che langarolo dal titolo “Funiculì Funiculà”. 😀 3) Per ognuna delle aziende raccontate sono riportate le superfici vitate complessive e quelle riservate all’uva nebbiolo: il rapporto tra queste non oltrepassa quasi mai la soglia del 60%, fatta eccezione per l’azienda Oddero (36 ettari complessivi, di cui 24 vitati a nebbiolo).

La degustazione di Barolo, dal 1996 al 2016

C’era grande attesa anche per la masterclass con la conduzione di Armando Castagno, che ha presentato sei diversi Barolo di altrettante aziende tra quelle menzionate nel libro e aderenti al progetto della Banca del Vino. Dai caveau di Pollenzo sono usciti i Barolo di sei diverse annate, tra cru e assemblaggi, per raccontare vent’anni di storia del grande vino di Langa e mettere in funzione – prendo a prestito le parole di Armando (pag. 185) – «la sola macchina del tempo che abbiamo finora saputo costruire».

Il Barolo Proprietà in Fontanafredda 2016 di Fontanafredda è quello che si direbbe un vino solido, così come, per la verità, il Barolo Riserva 2005 di Casa E. Mirafiore, a cui manca (forse) solo il guizzo finale. Il primo ha di certo ancora molti anni davanti ed è ovviamente più ostico in questa fase, con un sorso che deve ancora distendersi, tra tanta materia, leggero sbilanciamento alcolico e irruenza del tannino.

Se il Barolo Brunate 2008 di Poderi Marcarini – il mio vino della serata – è sanguigno, balsamico e rigoroso, meno caldo e più dritto, il Barolo Monvigliero 2015 di Fratelli Alessandria è di contro sapido e balsamico, e ha una trama tannica di levigata finezza.

Il Barolo Riserva Bussia Vigna Mondoca 2013 di Oddero è austero e introverso, a tratti irrequieto. Mai provato prima il Barolo Liste 1996 di Borgogno, ormai pressoché introvabile, che, al netto di una bottiglia sfortunata, è un vino che ha poco naso e pure poco colore, ma una bocca decisamente ematica e scarna. Ecco, magari non è così semplice entrarci in sintonia subito, ma che straordinaria forza evocativa!

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