Il Fiano di Avellino 2006 di Guido Marsella? Un bianco che non dimostra affatto i suoi 14 anni.
Un bravo vorrei dirlo innanzitutto a Dionisio Mignone, ché il Fiano di Avellino 2006 di Guido Marsella me lo sono goduto a tavola, A Casa di Dionisio, nella mia ultima domenica fuori. Certo, per come sono andate poi le cose (nel mondo, dico), resta un pizzico di rammarico per aver rimandato l’appuntamento con quell’unica bottiglia rimasta del 2004 (facciamo che la stappiamo insieme tra una decina d’anni, Dionisio?).
Guido Marsella è stato, ed è ancora in effetti, un pioniere del Fiano di Avellino. Lui che arrivava all’agricoltura senza una tradizione familiare vera e propria alle spalle, per primo immaginò che dai terreni argillosi e pietrosi di Summonte, dove forti sono le escursioni termiche (il borgo è praticamente sotto Montevergine), potessero nascere dei grandi vini, e non soltanto castagne e nocciole. Fu sua, inoltre, la geniale intuizione di allungare il periodo di affinamento sulle fecce fini (prima 12 mesi, oggi addirittura il doppio). Una roba impensabile per quel tempo, parliamo della fine degli anni Novanta.
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sì, ma com’era?
Una curiosità, innanzitutto. Il 2006 è l’unico Fiano di Avellino di Guido Marsella ad essere stato commercializzato con quest’etichetta, lo sapevate? Una veste grafica molto diversa da quella che è stata confermata pure con il Fiano di Avellino 2016, premiato come “vino Slow” nell’edizione 2020 di Slow Wine.
La cosa stupefacente è stata la facilità di questo vino di dissimulare la sua età. Voglio dire, alla cieca chi glieli avrebbe mai dati 14 anni? Colore dorato, luminoso, impeccabile. C’è sempre quell’idea di opulenza tipica dei Fiano di quest’areale, ma l’accento ora è sulle elegantissime note floreali e affumicate, mentre le sensazioni agrumate scorrono via sottotraccia, ma manco tanto. L’allungo al sorso è strabiliante: sapidità, mineralità, pienezza. Il ricordo resta a lungo, direbbero quelli bravi.
A cient’anni!