E pensare che mi ero deciso ad andarci soltanto all’ultimo minuto. Menomale, mi sono detto poi, perché la serata – quella dello scorso 16 novembre organizzata dalla sezione milanese dell’ONAV – è stata assolutamente interessante. Per la qualità degli 8
Brunello di Montalcino assaggiati, dico. Ma anche e soprattutto perchè a commentarli c’era il giornalista Franco Ziliani. Non uno a caso, quindi; ché al di là dell’indiscussa competenza, è stato uno dei protagonisti – in positivo – dello scandalo
Brunellopoli.
La storia del Brunello di Montalcino comincia con il finire del 1800 e vede come protagoniste le famiglie dei Clementi e dei Santi. Poco prima del 1967, anno di istituzione del Consorzio di Tutela, le due gentes cedono il passo ad altre due famiglie: i Biondi-Santi e i Cinelli Colombini (Fattoria dei Barbi). «Ma il mito del Brunello – ha detto giustamente Franco Ziliani – poggiava su gambe fragili: quello che, infatti, mancava in Toscana, a differenza che nelle Langhe, era un adeguato background socio-culturale essendo principalmente i banchieri e i mercanti, più che i vignerons, ad occuparsi della viticoltura».
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Con Franco Ziliani al termine della degustazione |
La crisi vera e propria del Brunello si è manifestata con l’aumento spropositato negli ultimi anni della superficie vitata (100 ettari fino al 1989 e da lì in poi 100 ettari ogni anno, in particolare nel periodo 2000-2006, sino ai 2mila e passa di oggi), con nuovi vigneti spuntati qua e là anche in zone poco vocate dove le differenti condizioni morfologiche e climatiche hanno reso problematico l’allevamento del sangiovese, pericolosamente esposto al rischio di marciumi indesiderati con conseguente necessità di maggiori interventi in vigna. Un aumento cui è seguita, naturalmente, una crescita smisurata dei numeri: oggi si producono circa 6 milioni di bottiglie di Brunello quando nel 1975 erano appena 800 mila e nel 1995 all’incirca 3 milioni e mezzo.
Brunellopoli, poi,
è stato il colpo di grazia, con l’immagine e la credibilità del vino di Montalcino messa a dura prova, anche e soprattutto nei mercati esteri. Molti produttori hanno dovuto declassare annate come la 2003 a Toscana IGT. A questo si aggiunga che manca ancora oggi una vera e propria una valutazione dei terreni per capire dove si può e dove non si può piantare il sangiovese da
Brunello, fatto – questo – che sottolinea ancor più le differenze con la viticoltura langarola dove, invece, la “zonazione” è stata fatta grazie anche al contributo scientifico dell’Università e di illustri professori come Attilio Scienza.
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Le 8 etichette degustate |
C’è poi il «problema dell’aver fatto scempio del territorio, istituendo denominazioni che con il territorio hanno poco o nulla a che fare. La DOC Sant’Antimo, per esempio, che pur prendendo il nome dall’omonima abbazia altro non è che un vuoto contenitore di vitigni internazionali». L’operato di talune guide e di certi giornalisti ha fatto il resto, regalando premi a destra e a manca – vi dice niente Wine Spectator, l’influente rivista di vino americana!?.
La situazione pare essere in parte mutata oggi, a dispetto della scelta del nuovo Consorzio che certo non si può dire abbia rappresentato una netta cesura col passato. Le analisi dell’Ente che si occupa delle importazioni negli Stati Uniti, ad esempio, seguono ora degli standars più rigorosi. Si paventa anche la possibilità di sacrificare il Rosso di Montalcino, prevedendo nel disciplinare l’eventuale aggiunta del 20-30% di altre uve rosse, in nome della salvezza del Brunello.
Vabbé, il discorso è lungo e denso di sfaccettature. Fatto è che gli 8 Brunello scelti da Franco Ziliani per la serata erano tutti “tradizionali”: sangiovese in purezza, niente barriques ma solo botti grandi che – come nelle Langhe – regalano una certa eleganza. Tutti vini, comunque, rappresentativi dell’intera denominazione: da quelli più austeri del quadrante nord (che era quello dove storicamente si era cominciato ad allevare il sangiovese da Brunello) a quelli più fruttati e carnosi del versante sud (dove oggi, peraltro, sempre più aziende con possedimenti nella zona nord-occidentale hanno acquistato vigneti). Nessun cru. Ma questa, si sa, è un’altra differenza di rilievo col Barolo, per dire: di Brunello si ricordano a mala pena 5 crus (Lisini, giusto per fare un nome, e pochi altri) mentre in Piemonte la vinificazione è stata tradizionalmente condotta per vigneto.
I vini degustati:
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Il Brunello degli Eredi Fuligni |
Brunello di Montalcino 2005, Eredi Fuligni
Di questa azienda ricordo ancora con grande soddisfazione il
Brunello di un’annata difficile come la 2003. Anzi, ora che ci penso, credo di averne ancora un paio di bottiglie in cantina [sospiro di sollievo]. I vigneti – quasi dieci ettari di proprietà – hanno un’età media di 30 anni e si trovano a un’altitudine compresa tra i 380 e i 450 metri, sul classico terreno “galestroso”, fatto di molti sassi e ricco di scheletro, con inserti calcarei e tufacei. Solo botti grandi di Slavonia da 30 hl, macerazioni non lunghissime.
Il colore è rubino carico, nel calice scorre consistente e dimostra una bella pulizia. Bello il gioco di trasparenze, il colore è magari appena un po’ opaco. I profumi intensi di ciliegia nascondono sulla sfondo una leggera nota eterea; poi, in successione, la terra, il pepe nero e una certa percezione di salinità che tiene banco anche alla beva. Elegante, altroché. Sorso secco, caldo, coniuga intensità e durata al palato, dominato dal finale terroso e fruttato. Il tannino è presente ma ben smussato, aiutato in questo dalla freschezza che conferisce al tutto un invidiabile equilibrio. Cambia con il tempo fino ad arrivare a sfumature di caffè, radice di liquirizia e fiori passiti.
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Il Brunello di Sanlorenzo |
Brunello di Montalcino 2005 “Bramante”, Sanlorenzo
“Bramante” sarebbe il nome del nonno di Luciano Ciolfi. Ciò che lo differenzia rispetto al primo campione, è la maggiore nitidezza della nota terrosa, di sottobosco; e una ciliegia più calda, che testimonia un microclima diverso rispetto a quello degli Eredi Fuligni e cioè quel versante meridionale del borgo ilcinese. I vigneti di questa piccola azienda si estendono a 500 metri di altitudine, su terreni argillosi, pietrosi e aridi; che da un lato rendono più lunghi i tempi di maturazione e dall’altro regalano una maggiore finezza.
«Quello di Luciano – ha detto Ziliani –
è un Brunello che si sta facendo notare». Il colore è più profondo e più scuro, ha anche una maggiore luminosità. Il naso è croccante, magari meno rigoroso del
Brunello di Fuligni, ma altrettanto affascinante. In bocca il sorso è caldo e appagante, salino e terroso, più pieno e anche leggermente più morbido, mette in mostra un frutto più polputo. Il sorso ha un bell’equilibrio, forse appena meno fresco, col tannino ben levigato. Chiude lungo con un finale di caffé e di ciliegia ancora integra, con una certa speziatura di fondo che si alterna con la terra e il frutto. Ecco, in chiusura, cede un attimino al naso; non in bocca, che lì è sempre vivo e vegeto.
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Il Brunello di Le Potazzine Gorelli |
Brunello di Montalcino 2005 Le Potazzine Gorelli
Questo è il Brunello che più mi ha sorpreso. Un po’ perché l’azienda – nata nel 1993 e situata nella zona intermedia “rotolando verso sud” (cit), a breve distanza dal centro abitato – è realtà assolutamente sconosciuta; un po’ per il vigore della sapidità che tiene sempre in tensione la beva. Il colore, leggermente più cupo, è anche il più luminoso di quelli fin qui assaggiati. Salinità, appunto, e freschezza smorzano il tannino che di suo sarebbe anche più possente, anche qui ben integrato. La maggiore profondità del colore corrisponde a un naso intenso di ciliegia, direi selvatico e animale, di tabacco e radice di liquirizia. Sorso molto salino, potente, forse leggerino quanto a struttura ma agile e scattante, che chiude su una bellissima nota speziata di radice di liquirizia.
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Il Brunello di Col d’Orcia |
Brunello di Montalcino 2005, Col d’Orcia
Quella dei Conti Maroni-Cinzano – che l’hanno rilevata nel 1973 – è azienda storica che produce anche un ottimo
cru, il “Poggio al Vento”. La versione per così dire “base” ha un naso intenso che profuma di ciliegia. Magari non è proprio pulitissimo con quelle note animali sullo sfondo; ma è d’un certo fascino. Il colore rubino è leggermente più cupo, il naso anticipa chiaramente le forti sensazioni saline che si ritrovano poi in bocca. Il sorso è più ricco e il tannino è vigoroso, più giocato sulle note dolci di frutta. Affinamento in rovere di Slavonia e di Allier (sempre e solo botte grande), la fermentazione dura tra i 18 e i 20 giorni.
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Il Brunello de Il Poggione |
Brunello di Montalcino 2005, Il Poggione
La tenuta della famiglia Franceschi si estende su 125 ha di vigneto e 70 di oliveto, nella zona a sud di Sant’Angelo in Colle. Il colore è cupo, bella pulizia nel calice. Sotto l’iniziale nota smaltata, si nascondono profumi più stanchi, direi. Tannino sempre molto vigoroso, le sensazioni di frutta appaiono orientate verso una maggiore maturità. Si sente un legno diverso che l’azienda ha cominciato ad usare negli ultimi tempi. Finale di conifere e di resina. Una buona espressione del versante meridionale di Montalcino che tuttavia non mi ha entusiasmato. Vero è anche che l’azienda ne produce parecchie bottiglie e che il prezzo è più che corretto in relazione al rapporto felicità/esborso.
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Il Brunello di Gianni Brunelli |
Brunello di Montalcino 2005, Gianni Brunelli
Le tonalità del colore tornano a regalare una maggiore integrità. I profumi, intensi ed eleganti, mostrano una certa complessità: si parte con la ciliegia cupa e il ginepro, si prosegue poi con sentori resinosi e di conifere. Colpisce al palato per la morbidezza, tanto generosa quanto la persistenza. La freschezza arriva dopo a ravvivare il sorso secco, straordinariamente coerente con l’impianto olfattivo, incentrato sui profumi di frutta integra e di terra. Ha il giusto equilibrio, regala ricchezza e grande nitidezza degli aromi, il giusto mix tra acidità e sapidità, con un tannino potente ma setoso.
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Il Brunello di Lisini |
Brunello di Montalcino 2005, Lisini
L’attacco dei profumi ricorda il tabacco. Il colore rubino è appena più scuro del precedente, ancora una volta di estrema pulizia nel calice. La storica azienda di Sant’Angelo in Colle conferma la propria affidabilità con un
Brunello dal naso intenso e selvatico che lascia intendere una certa mineralità di fondo. Sorso assai gratificante e salino, appunto. Caldo il giusto, con il finale lungo soprattutto sulle spezie, sulla radice di liquirizia e l’origano. Pare ricorrano oggi ai consigli di Giulio Gambelli alias Bicchierino.
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Il Brunello de Il Colle |
Brunello di Montalcino 2004, Il Colle
L’annata è sicuramente più fortunata del 2005. E infatti al naso è un coro a più voci, potente e al tempo stesso elegante, di tabacco dolce e cioccolato. Il colore è più maturo, si vede. Ed è anche il più pieno al palato, con le sfumature di cioccolato a tornare con puntualità, il tannino potente e un sorso appena meno sapido ma comunque di buona freschezza, la frutta rossa scura a tenere legate assieme le sfumature di liquirizia via via più nitide e la marmellatina di fichi d’india. La differenza si vede. Dopotutto questo
Brunello ha un anno in più in vetro; la macerazione e l’affinamento hanno tempi più lunghi, sempre in grosse botti di rovere di Slavonia. Circa 20 mila le bottiglie prodotte annualmente dal primo millesimo, il 1978.
Insomma, ha ragione Franco Ziliani: «bisogna continuare a credere nel Brunello».
Guarda anche qui:
grazie Alessandro e complimenti per il bellissimo articolo, non avrei potuto scrivere di più e meglio
Franco Ziliani
Grazie a te, Franco, per la splendida panoramica sul Brunello!
E' stato un vero piacere conoscerti di persona.
A presto.
Ciao Alessandro,
mi unisco ai complimenti per l'articolo
a presto Luciano Ciolfi
Ed io ti ringrazio!
Complimenti a te perchè il tuo è un gran bel Brunello.
La sensazione che ho avuto a Terre di Vite è che lo 06 sarà ancora meglio!