Non so voi ma è da un po’ di tempo che gioco a ricordare fatti e/o persone a suon di bocce seccate (cit). Compleanni, feste e festicciole varie, momenti più o meno (para)normali. La cosa mi piace, e non poco. Il fatto è – e questo, secondo alcuni, è assolutamente grave – che ogni occasione è buona per tirare il collo (cit) a una bottiglia. Insomma, mi impegno più del solito a crearmi io stesso occasioni per festeggiare.
Così è stato per questo pinot nero, pardon pinot noir di Borgogna, bevuto (manco a dirlo) per ricordare un giorno di quelli segnati e ri-segnati in rosso. Nemmeno una settimana prima, infatti, con tono trionfale avevo parlato in mondovisione ai milioni di lettori -vabbè, facciamo pure qualcuno in meno- di questo (pseudo) blog: “habemus logo“. Con tanto di fumata bianca (e non pensate a male…).
Insomma, l’avvenimento era epocale, come potete (ben?) immaginare. A questo aggiungasi che si trattava di ringraziare i due amici – Chiara Giovoni e Marco Mondani – che questo logo lo hanno partorito, accogliendo anche la mia preghiera di non stravolgere la testata del vecchio [S]tralci di vite (che ci volete fare, non era niente di speciale ma mi ci ero affezionato).
La bevuta è stata sconvolgente: mi sono tormentato più e più volte, chiedendomi quanti anni gli avrei mai dato io, a questo Griotte-Chambertin, se prima di aprirlo -e di comprarlo, of course, con conseguente (im)previsto svenimento del portafogli – non avessi letto la fascetta con l’indicazione dell’annata, millenovecentottantacinque. Ecco, sicuramente non 25. Difficile pensarlo, ve lo assicuro.
Un grand cru, certo. Anzi, per essere precisi uno degli otto grands crus di Gevrey-Chambertin, nella Côte de Nuits. Mica pizza e fichi. Che poi è un climat esteso appena 3 ettari, per di più estremamente frammentato – ma ci pensate a quanto sono geniali i francesi? (i cugini d’oltralpe utilizzano questo termine per rimarcare il fatto che anche in un unico, piccolissimo vigneto vi sono porzioni più o meno estese con caratteristiche pedoclimatiche proprie). Dicevo, 3 ettari di cui poco meno che mezzo di proprietà della Maison Joseph Drouhin, condotto secondo i dettami della viticoltura biologica già dal 1990.
Leggo sul sito internet tutto quello che occorre sapere: età media delle viti di circa 27 anni, raccolta svolta esclusivamente a mano, uve sottoposte a macerazione per 2/3 settimane, poi fermentazione a temperatura controllata, tra i 14 e i 18 mesi di maturazione in barrique (il 20% delle quali di primo passaggio).
D’un eleganza finissima. Al naso, come pure al palato. Non una cosa fuori posto, ecco: il giusto tenore alcolico, perfettamente integrato rispetto al tutto; un bouquet che, orfano delle briose note fruttate di gioventù, regala profumi di grande complessità ed evoluzione. Una bellissima nota animale, tanto per atteggiarmi a sommelier di livello; selvatica, meglio. Il tartufo e la pelle, un lieve sentore metallico, il tabacco, sussurrati ricordi di noce moscata.
E poi in bocca, palpitante e sempre cangiante. C’ha stoffa il ragazzo, ho pensato. Trionfo di struttura e al tempo stesso di leggiadria, con quel sale che ti si stampa sulla lingua e non va quasi più via. Lungo, lungherrimo. E tutto meno che decadente.
Una bevuta colossale, dico io. Da quelle parti, invece, usano dire semplicemente chapeau! Che poi è la stessa cosa che ho esclamato io, di cuore, quando Chiara e Marco mi hanno mostrato il nuovo logo.
………. sempre …vivaci e invitanti le tue recenzioni, complimenti per il logo , per lo stile lessicale , e ……….per le grandi novità ………..
mat
Grazie, Matilde!
Sempre un piacere leggerti su queste paginette!