Degustazioni in famiglia: ma che bel durello… l’etichetta nera di Fongaro, metodo classico targato 2004

By alexmarra83 / 06/05/2011

Poco o nulla avrei saputo dirvi, prima di questo assaggio, della doc Lessini Durello se non che è denominazione a forte vocazione spumantistica grosso modo coincidente con la zona dei Monti Lessini, appunto, a cavallo tra le province di Verona e Vicenza; e che il vitigno “principe” è il durello, localmente detta durella.

Poco altro potrei dirvi ora ché il durello o la durella è pianeta enoico da me fin qui poco esplorato. Certo è che la boccia che mi sono scolato a Pasqua ha fatto scattare quella molla ai più nota come curiosità. La classica frase che mi viene in mente a cose fatte è un giretto in zona lo farò. Il punto è capire quando perché ultimamente non faccio altro che segnare nomi e località sulla mia moleskine e quasi me ne occorrerebbe una soltanto per quello.

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L’etichetta nera è la riserva di un’azienda (Fongaro) a me altrettanto sconosciuta, protagonista – suo malgrado – nei giorni precedenti di un passaparola di quelli che ci sono spesso in rete: pochi tweets scambiati con Maria Grazia Melegari (aka @soavemente) – che già mi aveva descritto l’azienda di Ronca’ come una delle realtà più interessanti dell’intera denominazione – e Natascia Artosi (aka @eticavitis) che la cosa l’aveva confermata… e spedita. Proprio lei debbo, infatti,  ringraziare per il pacco ricevuto in dono, al cui interno vi erano due bottiglie tra cui – ta-ta-ta-taaan – questa.

Una rivelazione. Vi spiego il perché.

Per una buona volta è praticamente piaciuta a tutti. A mio papà, per dire, che storce sempre il naso quando c’è qualcosa di nuovo. A mia sorella grande che per farle assaggiare qualcosa la devo rincorrere per la casa. A mio fratello, pure: lui è il più difficile di tutti, tarato com’è sull’aglianico. Detto che anche mia sorella piccola, provetta sommelier, partecipa volentieri e con profitto agli esperimenti pur dovendosi accontentare di qualche goccia, rimane mia madre, desolatamente astemia (che delusione!) e soggetta a crescente disperazione con l’aumentare dei calici che finiscono ogni giorno davanti ai nostri piatti.

Colore dorato davvero molto bello, perlage fine e piuttosto frenetico. Calice pieno zeppo di profumi: la frutta secca e la frutta gialla, la crosta di pane e una bella mineralità di territorio. Farà anche legno? Può essere… (Ho controllato: sì, parte della massa matura in barrique prima dell’affinamento in bottiglia sui propri lieviti per 36 mesi)

In bocca è ancora meglio perché ha tutto quello che mi piace trovare in una bollicina: intensità e durevolezza delle sensazioni, sorso tagliente e sapido, dosato il giusto per mettere in evidenza quelle ho sempre sentito descrivere come le peculiarità di quest’uva. Finale che richiama il mango, direi; e la frutta secca.

Ecco. Sintetico identikit di quella che sono solito chiamare una bella boccia.

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Alessandro Marra

Chi Sono

Sannita di nascita – da mamma lumbàrd e papà irpino – ma tifoso dell’Avellino.

Da diverso tempo esiliato per studio (una triennale in Scienze Politiche e una magistrale in Giurisprudenza) e per lavoro (prima a Milano, ora a Roma).

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