Spoiler: il Chianti Classico 2017 di Tenuta Carleone è buonissimo. Leggo che il 2018 è, se possibile, ancora meglio, ma per quello poi vi dirò.
Ci sono davvero un mucchio di cose interessantissime da ascoltare nella videointervista che Fabio Pracchia ha fatto a Sean O’Callaghan per Slow Wine, compreso qualche consiglio di bevute da Australia e Sud Africa, due mondi vinicoli che Sean, origini irlandesi, conosce bene.
Dopo quasi 30 anni a Riecine, il Guercio ha lasciato Gaiole in Chianti e s’è rimesso in gioco nella vicina Radda in Chianti. L’imprenditore austriaco Karl Egger gli ha affidato un compito semplice semplice: fare i vini che piacciono a lui (a Sean, intendo).
Quasi soltanto sangiovese e un’idea precisa di base: lunghe macerazioni, con percentuali più o meno rilevanti di raspi, fermentazioni di due/tre mesi in cemento e tini aperti con rimontaggi giornalieri. L’obiettivo è fare dei Sangiovese quanto più eleganti è possibile, in un territorio dove nascono vini tendenzialmente più ricchi e speziati, estraendo quel poco che basta (anche in fatto di colore) e, soprattutto, lentamente. Sotto questo profilo l’utilizzo dei raspi è decisivo: «l’acidità si abbassa, di contro aumenta leggermente il ph, ma il tannino ne guadagna tantissimo in complessità ed eleganza».
Lui dice di avere tanto culo, ma il talento è innegabile, e non lo scopro certo io.
Chianti Classico 2017
Piace perché: la volatile gioca su quella linea oltre la quale c’è solo il troppo. Accompagna, amplifica, non prevarica, diventa un acceleratore formidabile di succo e sapore, che lascia trasparire in tutta la loro essenza e purezza.
Bonus: l’etichetta semplice, pulita, senza orpelli, che un po’ richiama pure il vino e quel suo essere scarno, essenziale, nondimeno elegante.
Tenuta Carleone
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