Sarà un caso ma ho iniziato a leggere “La collina del vento” il giorno dopo aver bevuto a cena un Cirò di prezzo e beltà commoventi: la Riserva Duca Sanfelice 2008 dei fratelli Librandi. E mai avrei pensato che il libro di Carmine Abate, calabrese emigrato da giovane ad Amburgo e oggi stabilitosi in Trentino, fresco vincitore del Premio Campiello 2012, parlasse della Calabria allo stesso modo di quel calice. Con la stessa passione.
Mi accingevo a far scorrere i minuti in una serata di relax quasi-lavorativo, quando mi sono imbattuto in queste parole: «Il nonno diceva che in autunno, sul pendìno del Piloru, avrebbe piantato due o tre noci, qualche pero, alcuni filari di “coglioni di gallo“, un’uva bianca da tavola, detta così per la forma oblunga dei chicchi, e fichi nivurelli a volontà».
Mentre pensavo che vitigno sarà mai questo e mi interrogavo sulla possibilità che si trattasse della stessa uva che mia nonna chiamava “a menna e’ vacca“, ecco quest’altro pezzo suonare così: «Bonuvenutu tra i vivi, nonnò, commentava tra sé il nipote. E gli altri, senza un pizzico di meraviglia, sconsigliavano i peri e i coglioni di gallo, chissà perché, e suggerivano piante di nucipersica, ciliegi, gelsi, melograni e naturalmente un gran vigneto di gaglioppo che lì è il terreno ideale, baciato dal sole e dal venticello frizzante di mare, che da lì esce un vino con i contracazzi, il vino più antico del mondo, compà, da resuscitare i morti, come dicono i cirotani che di vino ne capiscono più di noi».
Un vino con i contracazzi. Una bella definizione del vino Cirò, quello vero (leggi, quello da sole uve gaglioppo). Non trovate!? 🙂