Della famiglia dei pinot, quello bianco – mi dicono – è probabilmente il più grasso, generalmente sinuoso e opulento. Che poi è la stessa impressione che ho avuto anch’io nei pochi calici che mi sono passati sotto il naso anche se continuo a ignorarne il perché. Approfondirò.
Aggiungerei – senza timore, stavolta, di essere smentito – che è il secondo pinot in ordine di gradimento mio personale. Assolutamente dopo il nero, si capisce.
Parli di pinot bianco e a me viene subito in mente il simpatico Franco Toros: e non è per via della pancetta e delle evidenti somiglianze dell’uomo con certe caratteristiche sensoriali del vino [anche se poi il pinot bianco non ha i baffi :)] Ricordo il sorriso in cui esplosi appena dopo averlo conosciuto a Milano, un paio di anni fa: «mi chiamo Franco, sono Toros ma il mio segno zodiacale è scorpione».
Assaggiai il 2008 e mi piacque assai. Peccato solo non averlo incrociato più in giro, per poterne osservarne l'(eventuale) evoluzione. A quell’incontro, comunque, risalgono le mie (poche) notizie su questo bianco: fermentazione in acciaio salvo un 15% della massa che, invece, se la sbatte (cit) in legno e lì rimane per circa 5 mesi; nessuna macerazione delle uve, assemblaggio appena prima dell’imbottigliamento che avviene generalmente in aprile/maggio.
Ho bevuto di recente il Collio DOC Pinot Bianco 2010, per due volte e a distanza di un paio di settimane. La sensazione è che la sua grandezza non stia certo soltanto nell’eleganza dei profumi, la pera e il melone bianco; o nella coerenza oppure, ancora, nella persistenza finale. Piuttosto in quel gioco di contrasti creato dalla spinta salina e minerale sullo sfondo. Spinta che allunga, alleggerisce. Che tiene viva l’attenzione. E fa finire presto la boccia.
15 mila bottiglie. Circa 14 euro franco cantina. Non so dirvi altro.