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Barolo Chinato, Augusto Cappellano e una storia lunga più di cent’anni

Barolo Chinato, Cappellano

Il Barolo Chinato secondo Cappellano: mitico elisir di Langa.

Avevo le idee chiare quando ho comprato questa bottiglia di Barolo Chinato un mese e mezzo fa a Terre di Vite. Direttamente dalle mani del simpaticissimo Augusto, figlio del compianto Teobaldo Cappellano e oggi impegnato a tutto tondo nella conduzione della storica azienda di famiglia, in quel di Serralunga d’Alba.

Sapevo già quando, come e perché l’avrei bevuto. In pratica, di lì in poi è stato tutto un countdown fino allo scoccare dell’ora ics: il pranzo di Natale. O meglio, a fine pasto, quando il panettone era già bello che scomparso dalla tavola e si era materializzato il solito vassoietto con i dolci della tradizione campana: il divinamore, il roccocò e poi lui, quel dolce semplice e spettacolare che è il mustacciuolo ricoperto di cioccolato fondente.

Un vino che ha una storia lunga più d’un secolo, da quando sul finire del 1800 il farmacista Giuseppe Cappellano mise a punto la ricetta del mitico elisir di Langa; e due anime, quella dolce e quella amara, che convivono, si intrecciano, si scontrano e si completano nel bicchiere dove – di là dall’affascinante colore granato di un barolo di vecchia data, appena appena forse più lucente – promanano e si alternano profumi intensi di spezie: la vaniglia, il rabarbaro, la china e i chiodi di garofano, lo zafferano e l’origano.

Il naso è stratosferico; ma è in bocca che le cose si fanno ancor più stupefacenti se si pensa che il sorso – che pur deve fare i conti coi diciotto e passa gradi d’alcol – non perde mai leggiadria e non è mai pesante, ecco. Eppoi è elegantissimo, d’una finezza che è compostezza, pulizia e austerità. Che sono poi i tratti essenziali del lungo ricordo che si stampa sul palato, con la radice di liquirizia che si affaccia man mano che svaniscono le spezie.

Insomma, un must!

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