I numeri dicono che il mercato americano chiede sempre più “vini rosa” italiani (ma anche qui da noi le cose non vanno affatto male) e quello che rappresenta soltanto il 6% dell’intera produzione tricolore è un segmento produttivo che ha fatto registrare negli States una forte crescita, sia in valore che in quantità.
Sì, ma quali rosati? La preferenza del consumatore americano parrebbe indirizzarsi verso i vini leggeri, scarichi nel colore e dal prezzo contenuto. Ma sappiamo bene che l’Italia “in rosa” ha molto altro e comprende tipologie ben distanti, per inclinazione territoriale e caratteristiche, dagli stereotipi del rosato pallidino e beverino, che perciò necessitano di essere (ben) comunicate.

E il Sannio? L’Aglianico del Taburno Rosato, prima tipologia a rosato DOCG in Italia, potrebbe certamente beneficiarne, a patto di risolvere quella che mi sembra essere, allo stato, la maggiore criticità. Voglio dire che si fa fatica a trovare una chiave di lettura unitaria, un’idea comune, non dico per tutti ma quantomeno per una parte significativa dei vini prodotti. Voglio dire che si passa con troppa facilità da rosati più tipicamente provenzali a colorazioni più “consone” a quelle dell’uva aglianico, pur se a volte con qualche g/l di residuo zuccherino di troppo. Prima ancora che in termini di comunicazione (anche se, per la verità, il Consorzio Sannio si è già attivato), uno sforzo in più andrebbe fatto secondo me in questa direzione.
Dopotutto il rosato di aglianico, più in generale, può davvero giocarsela con i “vini rosa” più blasonati e l’ennesima conferma l’ho avuta assaggiandone uno proveniente dalla vicina terra d’Irpinia. Un vino nato in un’annata assai problematica, la 2018, che ha portato a diversi esiti di maturazione dei grappoli di aglianico nella stessa vigna. Le uve messe peggio, si fa per dire, sono state vinificate in rosa, il tutto è stato poi messo in tonneaux, almeno un paio di anni d’attesa, poi si vedrà. Nessuna logica meramente commerciale, piuttosto la voglia di imboccare strade diverse, sempre rimanendo fedeli all’uva aglianico. Solo così si può sopravvivere alle mode e proporsi come rosati “d’autore”, allo stesso modo di Cirò e Cerasuolo d’Abruzzo (tanto per fare qualche nome).
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